Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 24 Giovedì calendario

SETTE MARITI TRA PASSIONI E DIAMANTI

Gli uomini preferiscono le bionde, con qualche eccezione. Fra queste c’era Liz Taylor, che, nei momenti migliori, fra il nero dei suoi capelli, il rosso delle sue labbra e il viola dei suoi occhi, sembrava la depositaria del technicolor. Diva dall’età di 11 anni, quando girò Torna a casa Lassie, ebbe col cinema un rapporto travagliato e nel ’ 62 rischiò di far fallire la Fox con Cleopatra: tra ritardi, malori, assenze e amori svanirono 5 milioni di dollari. Dopo i primi bestseller, dalle storie americane di Un posto al sole e Il gigante, di Stevens, ebbe i suoi anni d’essai diretta da Losey, ma la verità è che la gente era incuriosita più dalla donna che dall’attrice: il vero kolossal, è sempre stata la sua privacy. Era ancora una bambina quando, trasferitasi nel ’ 39 a Los Angeles da Londra, dove era nata il 27 febbraio 1932 figlia di un mercante d’arte e di una ex attrice, incontrava i grandi papaveri del cinema e imparò la ferrea disciplina del divismo. In una carriera percorsa dal verbo amare coniugato in tutte le sue declinazioni, ebbe i suoi primi successi a 100 dollari la settimana, accarezzando platonicamente Lassie e il cavallo di Gran Premio, che peraltro, disarcionandola, le causò una distorsione vertebrale permanente. Sfogliando il m’ama e non m’ama di oltre 50 film, scoprirete che Liz non interpretò mai donne autonome o manager, ma sempre divorate dalla passione. Se lavora, come in Venere in pelliccia, fa la squillo; se fa la regina, è un po’ sgualdrina, come Cleopatra; per gli uomini era una mina vagante, rovinò anche il giovane Gassman in Rapsodia. La coerenza nel dedicarsi alle love story specie infelici (il primo bacio lo diede in Cynthia a 15 anni, ma aveva già 93 cm. di seno), la rese nonostante mali, malori e sedie a rotelle da telenovela, un oggetto di desiderio da parte delle donne che vedevano in lei e nei suoi 8 matrimoni, con sette uomini diversi, il simbolo di una dolce vita conquistata a suon di sberle, whisky e flash, come in via Veneto ai tempi della Hollywood sul Tevere che rese immortale con Burton. Iniziò presto la collezione di fidanzati assieme a quella di diamanti, i suoi migliori amici. La vita sentimentale di quella donna grassa e distrutta che nell’ 87 si presentò alla clinica Betty Ford dicendo «Sono Liz Taylor, e sono qui per disintossicarmi da alcol e droghe» , iniziò negli anni 40 con l’innocente flirt con Glenn Davis, campione di football e allievo di West Point. Seguirono altri amori e gioielli: Vic Damone, il nevrotico miliardario Howard Hughes, il ballerino Stanley Donen. Nella sua «collezione» anche il produttore Mike Todd, terzo marito per cui si fece ebrea, che le valse un diadema di brillanti e rubini. Ma fu il temperamento gallese di Richard Burton, sposato e lasciato due volte, nel ’ 64 e nel ’ 75, a portarle i pezzi migliori: un diamante di 33 carati e la perla che Filippo di Spagna aveva regalato a Mary Tudor nel 1554. I due condivisero set, ansie, bevute. Sogni e incubi americani. E pensare che la signorina Taylor, protetta da una mamma press agent, aveva cominciato benissimo la sua carriera sentimentale quando, il 6 maggio 1950, disse «sì» al magnate degli alberghi Nicky Hilton. La Metro le regalò per l’occasione l’abito da sposa, 25 metri di raso bianco con perle, ma quando pochi mesi dopo lei celebrò il primo divorzio, la Mgm ne chiese, con eleganza, la restituzione e lei collassò per la prima volta. Nella schiera dei mariti arrivò poi l’inglese Michael Wilding, che fu il più borghese e le diede due figli, seguito dal canterino Eddie Fisher, che Liz, da vera mangiauomini, soffiò alla piangente Debbie Reynolds, così come avrebbe poi rubato Richard alla sua Sybil. Il settimo matrimonio fu quello con John Warner, senatore repubblicano della Virginia sposato nel ’ 76, seguito da un flirt con Dennis Stein, che le stregò il cuore con uno zaffiro da 20 carati. Anche Malcolm Forbes, magnate dei mass media, ebbe un posto nei suoi affetti ma l’ultimo «sì» lo disse a Larry Fortensky, giovane proletario conosciuto nella cura contro l’alcol. Liz non fu solo una rovinafamiglie: anzi negli ultimi anni, sconvolta dalla morte del suo amico Rock Hudson, coltivò a lungo le cristiane doti della beneficenza, miliardaria crocerossina in giro nei festival, diventando presidentessa di un comitato contro l’Aids che la portò per il mondo a confortare i malati.
Maurizio Porro