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 2011  marzo 24 Giovedì calendario

LA FRANCIA SVELA LA CULTURA CINESE

La letteratura cinese è in gran parte sconosciuta. È un continente vastissimo e non molto esplorato dall’Occidente. Con la comparsa della scrittura sotto la dinastia Shang, nel XIII secolo prima di Cristo, questo mondo entra nella storia, così come intendiamo oggi codesta dimensione di fatti e d’idee. I libri cinesi, dall’inizio del II secolo, sono scritti sulla carta e nell’VIII comincia per essi la stampa a blocchi litografici. Poco dopo l’XI secolo appaiono i caratteri mobili, che si diffonderanno più tardi. Al pari dell’Occidente la Cina ha conosciuto censure e repressioni, come prova l’imperatore Shih huang della dinastia Ch’in, che nel 213 a. C. ordina di confiscare e bruciare tutti i libri, ad eccezione degli Annali, delle opere di medicina, agricoltura e geomanzia. Di questo universo conosciamo anche testi remoti, come I-ching, ovvero il Libro dei mutamenti (fa parte delle più antiche raccolte letterarie apparse tra L 800 e il 600 a. C.); ci sono traduzioni di Confucio e dei suoi immediati discepoli, o quelle dei sommi taoisti, Lao Tzu e Chuang Tzu (vissero nei secoli in cui fiorì anche la grande filosofia greca). Ma il più è ancora da fare. Del resto, la nostra conoscenza della cultura cinese cominciò con il gesuita Matteo Ricci, morto a Pechino nel 1610, del quale Voltaire diceva che andò a spiegare Aristotele al celeste impero, e quel che manca non ce lo immaginiamo nemmeno. La sinologia moderna, d’altra parte, è cominciata nei primi decenni del XX secolo. Per questo e per numerosi altri motivi è nata la prima «Biblioteca cinese» con il testo a fronte, presso la prestigiosa casa editrice Les Belles Lettres di Parigi (la medesima che pubblica la «Collection Budé» , ovvero una tra le prime collane al mondo per i classici greci e latini) e sta per cominciare qualcosa di analogo all’Università di Yale. Abbiamo incontrato i direttori dell’iniziativa, Anne Cheng (titolare della cattedra di Storia intellettuale della Cina al Collège de France) e Marc Kalinowski, tra i cui incarichi — sul biglietto da visita ha scritto «homo sapiens» — figura quello di «directeur d’études» all’École Pratique des Hautes Études. «L’Occidente conosce un’infima parte — sottolinea Kalinowski — delle opere cinesi, ma ci sono milioni di libri che attendono una traduzione. Siamo dinanzi alla più grande letteratura dell’umanità e, per esempio, il canone buddhista conta almeno cinquemila libri e noi ne leggiamo tradotto qualcuno, mentre quello taoista ne ha circa millecinquecento e da noi ne circolano un paio» . Anne Cheng si propone, con questa nuova collana, di «far conoscere meglio, in una buona traduzione e con l’originale a fronte, la letteratura della Cina, la sua mistica, i trattati, le leggi, la poesia, ma anche opere storiche, politiche, militari, nonché i libri di medicina, astronomia, matematica» . Con un ritmo di tre, quattro volumi l’anno — sei sono già usciti e due vedranno la luce in autunno — si desidera mettere a disposizione, come sottolinea ancora madame Cheng, «un patrimonio straordinario di cultura che va dall’epoca di Confucio (551-479 a. C.) al 1911, anno in cui cade il regime imperiale e comincia l’abbandono della lingua classica in ambito letterario» . Aggiunge Kalinowski: «Non si dimentichi che le élite di Giappone, Corea e Vietnam, sino al debutto del secolo XX, sapevano scrivere in cinese e ci hanno lasciato dei testi che in taluni casi meritano di essere conosciuti» . Insomma, è nata la prima collezione al mondo con ristampe garantite (così come si fa con la «Budé» per greci e latini), che potrà in un successivo momento mettere online testi sicuri: si propone di rivelarci opere sconosciute di quel continente chiamato Cina che giorno dopo giorno ci incute timori non soltanto economici. «Nella realizzazione — ricordano i curatori— sono coinvolti anche gli italiani: le scuole di orientalistica di Napoli e Venezia offrono studiosi di alto livello e di grande affidamento. Per esempio, Isabella Falaschi tradurrà il teatro del periodo mongolo, più o meno identificabile con il tempo di Dante» . Di più: «È in programma tra l’altro — confida Kalinowski — la prima traduzione degli Annali di Jin, Song, Qi, Liang, Chen e Sui, previsti in 21 tomi che permetteranno una conoscenza diversa e non approssimativa dell’antica storia cinese. Ci sarà la versione delle Memorie sui monasteri buddhisti di Luoyang, né mancherà il Libro della grande Pace di epoca Han, quei quattro secoli che sono a cavallo della nascita di Cristo» . Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Anne Cheng, tra l’altro, ricorda come tra i titoli appena usciti ci sia la Disputa sul sale e sul ferro, un testo anonimo scritto alcuni decenni prima della nostra era, che è testimonianza di prima mano sulle condizioni di vita concrete e sui costumi politici di un’epoca lontana, oltre che una riflessione senza tempo sull’arte di governare la società. Kalinowski aggiunge un’osservazione: «La collana che uscirà a Yale, alle quale contribuiranno i grandi sinologi americani, si occuperà soprattutto dei grandi testi classici; questa delle Belles Lettres porterà le ricerche anche in campi quasi inesplorati, tre discipline scientifiche, tecniche ed economiche» . Senza contare che Anne Cheng ha scritto una Storia del pensiero cinese (il suo saggio è stato pubblicato in due volumi da Einaudi nel 2000) ed è la miglior guida per farci scoprire autori e non pochi aspetti di una filosofia che è destinata a contare sempre più nella cultura mondiale. Poi, con Kalinowski, si corre nel tempo. Si pone una domanda e ci offre una risposta per chiarire la materia su cui sta lavorando: «La rivoluzione di Mao? Ha colpito una classe, una educazione, una cultura tradizionale (la rivoluzione del 1919 ha interdetto l’uso della lingua classica); nel 1949 si sarebbero voluti distruggere i caratteri cinesi e sostituirli con i latini, in realtà hanno soltanto semplificato la scrittura. Non pochi manoscritti sono stati bruciati nei villaggi, ma non nelle grandi città; ci sono state confische, dispersioni, le biblioteche sono rimaste ferme sino agli anni 70 del Novecento, poi le ricerche sono riprese» . E, infine, con un sorriso: «Oggi il carattere cinese fa vendere. Anche se pochissimi lo capiscono» .
Armando Torno