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 2011  marzo 24 Giovedì calendario

“Poi non lamentiamoci se nessuno investe qui” - Fino a un mese fa eravamo tutti a piangere che non ci sono abbastanza investimenti esteri diretti in Italia

“Poi non lamentiamoci se nessuno investe qui” - Fino a un mese fa eravamo tutti a piangere che non ci sono abbastanza investimenti esteri diretti in Italia. E adesso che ne arriva uno, e pure consistente, in un settore non strategico (Parmalat non è mica Finmeccanica) che cosa facciamo? Un decreto apposta per impedirlo». È un paradosso che proprio non piace ad Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni, sempre in trincea a difesa del libero mercato. Esaminiamo il decreto, com’è adesso e come potrebbe diventare. Lei che giudizio dà sulla possibilità di rinviare le assemblee? «Si sono comprati un po’ di tempo. Non è elegante, ma non è la peggiore ferita al sistema giuridico a cui abbiamo assistito in Italia». E l’ipotesi dell’autorizzazione preventiva del governo, come condizione necessaria per un investimento? «È di gran lunga la cosa peggiore, perché introduce il massimo della discrezionalità». Peggio del congelamento al 2% dei diritti di voto, a prescindere dalla quota azionaria nelle mani dei soci? «Non fa bene alla reputazione dell’Italia, ma è meno grave del placet del governo. La cosa peggiore è lanciare agli investitori stranieri il messaggio che l’Italia è un Paese di cui non ci si può fidare, dove le regole si possono cambiare se non piace come va la partita». Però si dice: i francesi danno proprio un bell’esempio in Europa. Chi la fa l’aspetti. «Ah, su questo non c’è dubbio, hanno un modello capitalistico dirigista, che punta a mantenere il controllo sulle loro industrie. È una cosa che fa perdere opportunità di investimenti dall’estero, a loro come a noi». Ma queste regole di chiusura noi in Italia ce le stiamo dando solo adesso. «Non è vero, in Italia abbiamo sempre cresciuto un capitalismo in serra, protetto. E questo ha creato un sistema industriale rachitico, un’industria infiacchita da tutta una serie di protezioni. Perché se giochi sempre in difesa magari riesci a conservare quello che hai, però non segni punti». Per la Francia era strategica Danone, per noi Parmalat. «Strategica? Che cosa temiamo, una guerra con la Francia in cui ci venga negato l’accesso ai latticini? Magari poteva succedere prima del 1914...». Non c’è da temere, in futuro, trasferimenti di attività? «Non me la vedo la deportazione delle mucche italiane verso la Francia. E neanche penso che lo yogurt cambierà sapore per i consumatori. Quanto ai risparmiatori italiani, a loro conviene che gli investimenti rendano il massimo, e per questo serve il mercato più aperto possibile, ed è un bene che arrivino stranieri con dei soldi da investire. Se poi ci sono altri eventuali interessi da tutelare contro questa prospettiva, sono interessi particolari». Non sarà che il capitalismo italiano reagisce allo stimolo del 150˚dell’Unità? «Eh già! Le banche sono state le peggiori nemiche di Bondi, ma adesso sentono i discorsi patriottici e le fanfare e fanno la cordata nazionale per salvare l’italianità di Parmalat».