ROBERTO GIOVANNINI, La Stampa 24/3/2011, 24 marzo 2011
A Sendai, lo stadio trasformato in obitorio - Dell’onda sporca che, alta dieci metri, ha spazzato tutto quello che ha trovato nella piana sotto Sendai per otto chilometri, ormai ci sono solo le tracce
A Sendai, lo stadio trasformato in obitorio - Dell’onda sporca che, alta dieci metri, ha spazzato tutto quello che ha trovato nella piana sotto Sendai per otto chilometri, ormai ci sono solo le tracce. Una specie di sabbia terrosa sparsa sui campi e sull’asfalto. Mille e mille pezzi di plastica stracciata. Auto affastellate l’una sull’altra. L’erba gialla e puzzolente. Niente luci per la strada, non un’anima viva in giro, solo ogni tanto una macchina della polizia che passa e va. Quella che una volta era una fertile piana agricola, l’abbiamo visto tutti in televisione, con le immagini riprese dall’elicottero quel venerdì di due settimane fa, come ha fatto a diventare così. Un paesaggio che sembra provenire dritto dritto dai film sul DopoBomba post-guerra nucleare, dove non c’è una sola cosa che non sia rotta e sporca. Viviamo nell’era dell’eterna diretta tv. Ricordiamo ancora la scena surreale della gente rifugiata sul tetto dell’edificio dell’aeroporto a Natori, a 14 chilometri dal centro di Sendai. L’appena aperta «Smile Terrace», insieme alla torre di controllo, era l’unica cosa che emergeva sull’acqua, che sotto turbinava portando con sé furgoni e aerei da turismo, scagliati contro il secondo piano. Anche ora la pista è inagibile se non come punto di atterraggio degli elicotteri, nonostante gli sforzi di giorni dei militari giapponesi aiutati dai marinai della Navy statunitense, che volevano riattarla almeno in parte per far arrivare il materiale necessario ai soccorsi. Sendai con il suo milione di abitanti è la metropoli più grande del Tohoku, la regione nordorientale dell’isola di Honshu dove ha colpito da sotto e dal mare il terremoto tanto forte da spostare l’asse terrestre. Una regione da sempre di frontiera, poco popolata, quasi per nulla sviluppata se non in anni relativamente recenti. Fa pensare come i terremoti abbiano la speciale capacità di colpire sempre e comunque in modo più rovinoso le aree già più depresse. Il Tohoku non fa eccezione. Kesennuma, un po’ piùa Nord risalendo la costa del Pacifico, è stata ridotta in frantumi: oggi c’è un cumulo di rifiuti con un peschereccio blu e rosso lungo trenta metri abbandonato in mezzo a una strada, al posto delle case dove abitavano 73 mila persone. Sendai se l’è cavata meglio, decisamente - se si può dirlo quando praticamente tre quarti degli abitanti dall’11 marzo non hanno più acqua corrente. Le radio locali trasmettono un po’ di musica e poi avvisi in quattro lingue (oltre al giapponese, parlano in inglese, cinese e coreano) che spiegano ai cittadini come affrontare l’emergenza. Informazioni come gli orari (dalle otto di mattina alle otto di sera) e i centri di distribuzione dove bisogna presentarsi con i «contenitori propri» per ricevere l’acqua; le restrizioni per l’energia elettrica; la classificazione, decisa dal municipio, di tutti gli immobili sulla base dei danni subiti. Di quello che accade a Fukushima, a soli 80 chilometri più a Sud, pochi si curano. I problemi sono ben altri, dicono. Gli immobili se la sono cavata probabilmente meglio dei loro proprietari: solo qua e là si vedono gli intonaci e i rivestimenti dei palazzi rotti o frantumati ed edifici transennati. Grazie alle regole antisismiche rigidissime vigenti in Giappone. E anche grazie (se si può dire grazie) agli americani, che nel 1945 spianarono completamente Sendai con i loro bombardamenti, costringendola a rifare tutto da capo, compreso l’orgoglioso mausoleo eretto per sé dal Daimyo Date Masamune nel 1637. Gravi sono invece i danni subiti dalle strade, a parte quelle del centro: buche, a volte voragini, costringono a deviazioni infinite gli automobilisti, che peraltro devono fare i conti con il contingentamento della benzina, che impone lunghe file e pazienti attese. I negozi sono quasi tutti chiusi. Negli spacci alimentari si trova tutto o quasi, ma certi scaffali sono deserti, a dimostrazione che la situazione non è tornata alla normalità. Quando cala la sera, poi, è tutto spento e deserto. A dare un minimo di normalità ha contribuito il ripristino delle linee telefoniche e della rete dei cellulari, realizzato in tempo record. È tornato anche il gas, proprio ieri, almeno in alcune zone del centro. Ma si può parlare di normalità quando il municipio è ancora un centro di assistenza medica? Quando lo stadio «Grande 21» - dove nel 2002 i calciatori dell’Italia di Trapattoni giocarono una partita di quegli sfortunati Mondiali, e proprio in un albergo extralusso sulla collina la Federcalcio piazzò «Casa Italia» - è stato trasformato, subito dopo il sisma, in un gigantesco obitorio?