Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 24 Giovedì calendario

Ajdabiya a un passo dalla tragedia umanitaria - La morte perseguita la campagna vicino a Bengasi. Un trattore che trasporta sul cassone una bara è l’unico veicolo che si muove all’alba sull’autostrada che corre verso Ovest, verso il nuovo fronte che divide i ribelli dalle truppe leali a Muammar Gheddafi

Ajdabiya a un passo dalla tragedia umanitaria - La morte perseguita la campagna vicino a Bengasi. Un trattore che trasporta sul cassone una bara è l’unico veicolo che si muove all’alba sull’autostrada che corre verso Ovest, verso il nuovo fronte che divide i ribelli dalle truppe leali a Muammar Gheddafi. Due anziani, con lo sguardo impietrito, siedono al volante; dietro, un ragazzo appoggia il capo sulla coperta che copre la bara. La marcia verso Ajdabiya, una città chiave a 160 chilometri da Bengasi e ritenuta la porta d’ingresso verso la Libia orientale, è segnata da case e costruzioni crivellate di colpi e dai lampioni spezzati. Due autobus carbonizzati sono fermi sul ciglio della strada, un posto di blocco grezzo, improvvisato, messo lì dai ribelli che le brigate di Gheddafi hanno spazzato via nella loro marcia. Al fronte, decine di miliziani rafforzano un check-point e si stravaccano per terra alla luce del mattino sotto un muro pieno di graffiti: «Non ci arrenderemo, vinceremo o moriremo». I camion, adattati a mezzi militari carichi di lanciamortai e mitragliatori, attraversano la strada verso i punti più estremi tenuti ancora dai ribelli. Dall’altra parte, i camioncini si ammassano, sono gli sfollati che scappano dalla città. «Non abbiamo cibo, sopravviviamo soltanto» dice Muhammad Ibrahim, 60 anni, che ha visto quattro dei suoi vicini di casa feriti quando una granata è esplosa vicino alla loro casa. «Alcune famiglie ancora restano in città, ma sono terrorizzate dai bombardamenti a casaccio». Molti abitanti di Ajdabiya raccontano che zone della città sono state demolite dai bombardamenti e che ormai non c’è più elettricità e il cibo scarseggia. Si pensa che appena il 20 per cento degli abitanti sia rimasto. «Quando le truppe di Gheddafi sono state uccise, per rappresaglia ci hanno bombardato» dice Mohammad Atiyah, un piccolo imprenditore che sta lasciando la città con la sua famiglia. I ribelli rivendicano di essere dentro Ajdabiya e che i fedelissimi di Gheddafi sono isolati, nelle zone orientale e meridionale della città, senza rifornimenti e senza poter comunicare fra loro. Ma l’incapacità degli insorti di riprendere totalmente il controllo, nonostante l’appoggio aereo dei jet della coalizione, sta suscitando qualche dubbio sulla loro capacità di spingere e sfondare a Est, verso la Tripolitania. In serata sono i tank del raiss a circondare la città. I caccia Usa - ha riferito l’ammiraglio Usa Gerard Hueber - hanno martellato le forze di terra del raiss non solo ad Ajdabiya, ma anche a Misurata e a Zawiah, nella parte occidentale della Libia, per costringere i fedelissimi del Colonnello a fare retromarcia. E sempre il Pentagono ha parlato di «difesa antiaerea annientata». Ma sul terreno la situazione è diversa. Fra i ribelli non c’è più quell’entusiasmo e quel vigore che avevano contraddistinto, la settimana scorsa, la resistenza nelle battaglie per tenere Ras Lanuf e Ben Jawad. Ad Ajdabiya ci sono stati violenti scontri. E nelle mani dei ribelli resterebbe appena la strada che porta verso Tobruk, nella zona più orientale della città. Gli insorti raccontano un’altra versione, parlano di «aver catturato numerosi soldati delle brigate di Gheddafi che avevano in dotazione delle maschere anti-gas». Benché i ribelli sostengano che le forze speciali appartenenti all’unità «Saeqah» stiano agendo in città, questa sembra solo una leggenda. Se ci sono, hanno completamente fallito nel cacciare quel che rimaneva dei pretoriani del raiss. Ancora più difficile per la resistenza la situazione a Misurata, terza città del Paese, dove la battaglia è stata cruenta. I cecchini di Gheddafi avrebbero ucciso, secondo quanto riferisce un portavoce dei ribelli, 16 persone e i tank hanno bombardato un ospedale. Fra le vittime vi sarebbero anche dei bambini. Attacchi anche a Zenten. In serata nei raid aerei su Tripoli sono stati colpiti obiettivi civili. E testimoni raccontano che uno dei bersagli del raid è stato il compound di Gheddafi, che si trova nella zona Sud di Tripoli. Le unità dell’esercito libico che hanno disertato sono un altro grosso punto interrogativo. Soldati e ufficiali raramente sono apparsi al fronte dove è sempre più evidente la mancanza di leadership. Le jeep corrono, come al solito, trasportando cadaveri. Vengono scaricati e deposti sul selciato da un manipolo di volontari e fra le lacrime dei familiari. E fra il dolore spuntano gli «ululati di gioia» delle donne: i musulmani credono che la morte di un musulmano in battaglia lo trasformi istantaneamente in un martire. Secondo il conteggio degli addetti del cimitero locale, lo scorso fine settimana durante gli scontri, mentre i fedelissimi del raiss venivano respinti da Bengasi, il numero delle vittime ha toccato quota 68 soldati uccisi e 20 ribelli. I cadaveri dei pretoriani sono stati gettati in una fossa comune accompagnati da una preghiera sommaria e veloce.