MATTIA FELTRI, La Stampa 24/3/2011, 24 marzo 2011
“Finalmente libero” Così il mite Bondi lascia il ministero - Ci sono voluti tre mesi buoni, ma Sandro Bondi ce l’ha fatta: da ieri non è più titolare di quel ministero che è stato per lui il luogo di uno strazio umano prima ancora che politico
“Finalmente libero” Così il mite Bondi lascia il ministero - Ci sono voluti tre mesi buoni, ma Sandro Bondi ce l’ha fatta: da ieri non è più titolare di quel ministero che è stato per lui il luogo di uno strazio umano prima ancora che politico. Non si è trattato di un’ostilità interna (alla sede della Cultura i più lo ricordano con accenti sconfinanti nella tenerezza), ma piuttosto della casta dei dotti, così spesso sussiegosa ed egoriferita, e ingenerosa con un ministro respinto per motivi che sovente sono apparsi preconcetti. E che politicamente sfociarono in una mozione di sfiducia personale che è difficile dire se fosse più strampalata o pretestuosa. In aula gli vennero attribuite colpe probabilmente condivisibili col resto dell’esecutivo (la progressiva e drastica riduzione dei fondi) o con il resto dell’umanità (i crolli di Pompei). Il 26 gennaio venne respinta e pochi sapevano che Bondi era già dimissionario («lo sono dentro», diceva agli amici spiegando perché non si presentasse più al ministero dai giorni immediatamente precedenti le vacanze di Natale). Sono state settimane terribili per un uomo «che somatizza tutto», dice un sodale. Ma da un po’, con la prospettiva di mollare quell’ambiente di pubblico mobbing, le cose andavano meglio tanto è vero - dicono i tecnici del Mibac - che è stato lui, insieme con il Tesoro, tramite la mediazione di Gianni Letta e col compimento del benestare di Giulio Tremonti, a lavorare perché il successore avesse i denari a lui sottratti spietatamente. Aveva l’ambizione di mantenere antiche promesse e il governo non si è messo di mezzo, anzi: nessuno, a cominciare del presidente del Consiglio, ha trascurato la necessità di far partire il nuovo ministro con il piede giusto, se non altro per non offrire argomenti immediati alle lamentazioni del settore (che poi, lo sanno tutti, dal punto di vista dei tagli non erano per nulla ingiustificate). Bondi ha chiuso ieri con una lettera di saluto agli ex colleghi del Consiglio dei ministri: una lettera delle sue, con sapiente uso degli aggettivi, qualche abile melensaggine, e a conclusione della lettura pubblica di Letta c’è stato un applauso seguito da commenti di apprezzamento a amicizia, secondo quel che raccontano i presenti. Non si può parlare certo di rivincita: le cose sono finite come si sa, cioè male. Ma ieri l’ex ministro si è concesso una tarda mattinata di relax, a passeggio per Villa Borghese con la compagna Manuela Repetti (deputato del Popolo della libertà). Ha ricevuto telefonate fra le più gradite, di Silvio Berlusconi, naturalmente, ma anche del Presidente della Repubblica, una telefonata non formale, di apprezzamento eccetera, come ha detto Bondi a qualcuno dei suoi. Adesso si completerà il ritorno al partito che per qualcuno non è stato nemmeno così automatico. Era girata voce - probabilmente a causa della crisi di rigetto di un uomo piuttosto suscettibile, una crisi di rigetto addirittura plateale, ai limiti dell’irrimediabile - che Bondi avesse persino chiesto di essere esonerato dall’incarico di coordinatore nazionale del Pdl. Che la voce sia fondata o meno poco importa: quanto meno è inattuale. Bondi rientra nel partito (nei giorni scorsi ha chiesto e ottenuto una serie di supporti tecnologici - smartphone, iPad e così via - per il lavoro quotidiano) con l’intenzione di mettersi subito al’opera in vista delle elezioni amministrative di metà maggio. Con gli altri due coordinatori i rapporti sono solidi. Buoni con Ignazio La Russa, eccellenti con Denis Verdini. Quello che Bondi ripete spesso, è che starà attento a non sovrapporre le proprie mansioni alle loro. Anzi, gli piacerebbe progressivamente tornare alle origini, e affiancare Berlusconi in un ruolo di primo consigliere (sebbene qualcuno si offenderà...), quasi di famiglio. Redigergli i discorsi con una cura tale per cui le citazioni di Alexis de Tocqueville saranno filologicamente inattaccabili. Studiargli l’impostazione ideologica (se mai ce ne sarà bisogno di una) secondo i sacri testi della politologia, e pare che Bondi stia approfondendoli voracemente.