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 2011  marzo 24 Giovedì calendario

I BILANCI DELLA SERIE A. SOLO 4 SOCIETA’ PRODUCONO UTILI

«Il calcio italiano è oggi uno dei più clamorosi casi di mismanagement degli ultimi cinquant’anni (dopo la chimica e la siderurgia)» . Il copyright è dell’economista Marco Vitale. Roba vecchia, roba d’archivi, visto che da quell’affermazione è trascorso quasi un decennio. Ma, nonostante i continui appelli all’austerity, il nostro pallone continua a vivere al di sopra dei propri mezzi. Lo rivela la nostra inchiesta sugli ultimi bilanci delle società di Serie A, che nella stagione 2009-10 hanno bruciato altri 193,5 milioni di euro. È vero che l’anno prima il rosso superava i 200 milioni, ma ancora non ci siamo proprio. Tutto ciò a dispetto della costante crescita del fatturato, che per la prima volta nella storia ha superato la soglia di 1,7 miliardi, Soltanto quattro club su venti producono utili: la Fiorentina 4,4 milioni, il Catania 2,5, il Livorno (poi retrocesso) 1,8 e il Napoli 0,3. E senza i 381,5 milioni di plusvalenze sarebbe andata molto peggio: la gestione caratteristica di costi e ricavi è sballata. Deriva Con il fair play finanziario Il fatturato 2009-10 è cresciuto fino a superare la soglia di 1,7 miliardi, ma il decificit è ancora troppo elevato Dal 2000 a oggi la Serie A ha speso 11 miliardi per gli stipendi. Si deve correggere la rotta: lo chiede pure l’Uefa dell’Uefa alle porte non c’è da stare allegri. La storia dell’ultimo decennio, d’altronde, è esemplare. Dalla stagione 2000-01 a quella scorsa la Serie A ha accumulato 2,4 miliardi di deficit, chiudendo sempre in rosso. Certo, siamo lontani dal naufragio in cui eravamo caduti ai tempi dell’esplosione dei diritti e delle plusvalenze fittizie (un miliardo perso in due sole stagioni, tra il 2002 e il 2004). Tuttavia il rosso continua a essere il colore dominante. E pensare che i ricavi non hanno fatto che crescere, fino a raggiungere cifre impensabili. La stagione che si avvia alla conclusione segnerà un ulteriore primato del giro d’affari, visto che con il ritorno alla vendita centralizzata dei diritti e la spalmatura del calendario le tv hanno riversato nel calcio italiano quasi un miliardo di euro. Ma è proprio questa inarrestabile pioggia di denaro a rendere ciechi i nostri dirigenti. Ingaggi Sapete cosa è successo in questo stesso decennio in cui la A ha incassato 13,4 miliardi? Undici miliardi sono andati via per pagare gli stipendi e tutti gli altri costi connessi alla forza lavoro. Nel 2009-10 questa voce è addirittura aumentata, smentendo le annunciate svolte all’insegna del risparmio: da 1,093 a 1,162 miliardi. In media le spese per il personale incidono per il 68%sul fatturato (nella Bundesliga è il 51%), ma ci sono casi in cui si va molto oltre: Bologna 94%, Inter 93%, Bari 88%, Sampdoria 85%, Parma 82%, Roma 74%. Rispetto ad altri campionati come Premier League e Liga, la Serie A non ha una esposizione eccessiva nei confronti del sistema creditizio: i debiti verso le banche sono pari a 352,2 milioni. L’indebitamento lordo complessivo supera i 2 miliardi, ma una grossa fetta resta all’interno del mondo calcistico, trattandosi di debiti nei confronti delle altre società per le operazioni di mercato. E l’uso sempre più massiccio dei pagamenti a rate per i trasferimenti dei calciatori non ha fatto che incrementare questa voce. Di contro, il patrimonio netto è ancora troppo basso: 272,9 milioni. L’assenza di stadi di proprietà (aspettando l’apripista Juventus) rende i nostri club vulnerabili a livello finanziario e troppo soggetti alla volubilità dei risultati sportivi e delle campagne acquisti-cessioni. Prendete il Palermo: da una stagione all’altra è passata da 18 milioni di utili a 17,2 di perdite, tutto a causa di maxi-plusvalenze (49,6 milioni venute a mancare. FuturoDaluglio in poi i controllori dell’Uefa metteranno sotto pressione i nostri club. Via al fair play finanziario, che mira — in un futuro più o meno lontano— al pareggio di bilancio come passepartout per accedere alla Champions e all’Europa League. Se le regole fossero già entrate in vigore, sette italiane su venti sarebbero out. Magari, però, questi mesi avranno portato consiglio. Aspettiamo con ansia i prossimi bilanci.