Giuseppe Pollicelli, Libero 22/3/2011, 22 marzo 2011
L’EX PCI CHE HA IMPORTATO I CLASSICI “A LUCI ROSSE”
Non sappiamo chi abbia scelto, per il libro di Luca Aurelio Staletti, il titolo C’era una volta il partito comunista. Autobiografia picaresca di un compagno radiato (Coniglio Editore, pp. 252, euro 14,5). Forse l’autore stesso. Quel che è certo è che un titolo fuorviante. Uno si aspetterebbe di leggere le memorie di un uomo nella cui vita sia stato centrale e decisivo il rapporto con il Pci, e invece è il contrario. Perché Staletti, con il Pci, non ha avuto quasi niente a che spartire. Con il vivere picaresco, cioè vagabondo e avventuroso, indubbiamente sì, ma con il Pci poco o nulla.
Prima di tutto, chi è Staletti? Milanese, ultraottantenne, residente a Parigi fin da gli anni Cinquanta, è stato uno dei più intelligenti, abili e spregiudicati agenti editoriali italiani. Sono merito suo, tra l’altro, l’approdo (clandestino) in Italia di Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno di Henry Miller, la scoperta dello scandaloso romanzo Emmanuelle della franco thailandese Emmanuelle Arsan, il sostegno a scrittori, umoristi e disegnatori francofoni come Wolinski, Copi, Cavanna e Pichard nonché la notorietà internazionale di alcuni nomi celebri del fumetto italiano quali Crepax, Pratt, Magnus e Manara.
La cosa curiosa è che delle informazioni appena riportate solo una minima parte è presente nel libro di Staletti, il quale ha scelto di rievocare episodi di vita vissuta in cui rarissimamente figurano personaggi di una qualche levatura pubblica (e anche quando compaiono non ne viene in genere specificata l’identità, li si lascia anonimi). Il tentativo, assai ambizioso, di “C’era una volta il partito comunista” è quello di rendere esemplari e universali alcuni momenti, per lo più privatissimi, dell’esistenza dell’autore.
Il quale è sì stato un partigiano comunista e ha poi svolto, per un breve periodo, attività politica nel Pci, ma già nella seconda metà degli anni Quaranta venne allontanato dal partito apparentemente senza traumi da parte sua in seguito all’affaire Seniga. Oggi non sono in molti a rammentarlo ma quello fu uno scandalo enorme per il Pci. Giulio Seniga era un collaboratore del dirigente comunista Pietro Secchia (il quale, capo dell’organizzazione del partito, aveva propositi ben più oltranzisti e rivoluzionari rispetto a quelli del Togliatti post “svolta di Salerno”) e un giorno scappò da Roma portando con sé alcuni documenti e, soprattutto, un milione di dollari provenienti dalle casse del partito. Il tutto, a quanto pare, con l’intenzione di compiere un sabotaggio antitogliattiano. Il clamoroso episodio determinò la rovina politica di Secchia e, di riflesso, quella di Staletti, che a Secchia faceva riferimento. Ma anche stavolta la vicenda va ricostruita con l’ausilio di un testo di storia, perché Staletti la riporta in modo ellittico e senza fare mezzo nome.
Quello di Staletti è una sorta di flusso di coscienza, in cui le generalità delle persone citate e la precisa collocazione temporale dei fatti narrati sono tenute in pochissimo conto. Ricorrendo a una scritturai cui neologismi fanno scolasticamente il verso al Burgess di Arancia meccanica («L’epiteto razzista andava al soma della nostra équipe, argentino, che sprolando troppo denunciava la sua origine ispanica»), l’autore si preoccupa di comunicare il suo amore per il viaggio, il suo anarchismo vitalistico, la sua insofferenza verso la disciplina e l’eccesso di ideologia. Tuttavia, le poche volte in cui nel libro viene dato spazio all’aneddoto e al ricordo circostanziato la narrazione prende quota, si fa più appassionante, e certo dispiace che Staletti non abbia battuto di più questa strada: «Cominciammo coi romanzi. Per autofinanziarci e darci risolutamente una patina letteraria, piratammo disinvoltamente, smerciandoli nelle librerie peninsulari, i due sulfurei tomi dei Tropici, quello del Capricorno e poi del Cancro. L’editore importante, che deteneva i diritti di traduzione validi per la lingua italiana, era uno snob. Per sottile idea dei suoi collaboratori editava e vendeva i due romanzi, cult-osé, unicamente in Svizzera ticinese, speranzoso di smerciarne milioni di copie agli automobilisti lombardo-piemontesi (...). Le rogne con la magistratura non si fecero attendere».
Bisogna ammetterlo: nel Pci furono lungimiranti nel mettere subito la parola “fine” ai rapporti tra il partito e il libertario Staletti. Così facendoci hanno risparmiato un pessimo funzionario comunista e ci hanno regalato un ottimo agente editoriale. Dei comunisti italiani di quel tempo, del resto, si può dir tutto, non che fossero stupidi.
Giuseppe Pollicelli, Libero 22/3/2011