Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 23 Mercoledì calendario

QUELL’INGANNO A PARIGI PER MISTER NUTELLA. IL PASSO INDIETRO DELLA CORDATA ITALIANA —

Cronaca di un vertice parigino infelice: l’appuntamento di ieri tra le due dinasty amanti della discrezione, i Ferrero e i Besnier, per parlare vis à vis del dossier Parmalat, era stato preso già domenica. A richiederlo erano stati i due fratelli Pietro e Giovanni dopo che, nel fine settimana, all’interno della famiglia di Alba si erano aperte le prime crepe e il padre Michele aveva mostrato la propria atavica resistenza alle acquisizioni. Con un pizzico di perfidia ieri mattina Emmanuel Besnier, dopo aver passato la notte in via Rovello nello studio Paul Hastings a trattare con gli amministratori dei tre fondi, ha salutato tutti, ha preso l’aereo ed è volato a Parigi per tenere fede all’appuntamento sedendosi a tavola con i Ferrero per una colazione di lavoro a giochi ormai chiusi. Il «gioiellino» a quel punto era già francese e la Borsa considerava chiusa la partita. Che i francesi siano stati veloci e chirurgici lo riconoscono tutti. Ma dalla stessa Intesa Sanpaolo trapela un po’ di delusione per un’operazione che sembrava se non fatta, fattibile, e in cui la banca si era spesa molto. I tre fondi erano stati contattati dalla stessa cordata italiana ancor prima che si palesassero i francesi, già da venerdì sera. Tanto che anche sabato mattina a Cernobbio, l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, aveva detto di non escludere un accordo con i fondi esteri. E sembra infatti che gli stessi Ferrero si fossero mostrati molto ottimisti anche se non si era mai giunti alla definizione di un prezzo. Poi, nel week end il doppio cambio di passo: mentre all’interno della dinasty della Nutella ci si scontrava sull’opportunità di ingaggiare battaglia con i francesi, Lactalis bussava alla porta dei fondi. Milano non è un campo di gioco scelto a caso: la speranza dei vertici di Zenit, Skagen e Mackenzie, volati dal Canada e dal Nord Europa in Italia, era di trovarsi tra i due offerenti, da una parte la cordata italiana e dall’altra i francesi, per spuntare il prezzo migliore. Tanto che i rappresentanti dei fondi avrebbero anche sollevato la questione formale della presenza di due congiunti nei due opposti schieramenti. Il capo di Société Generale Italia, Patrizia Micucci, che ha seguito l’operazione per i francesi è infatti sposata con Fabio Cané di Intesa Sanpaolo che ha lavorato alla lista della cordata italiana. Lunedì sera — mentre i Ferrero si pre- paravano per incontrare i francesi a Parigi il giorno dopo — la partita si è chiusa da sola: presso i fondi, con un blitz, si è presentato Besnier con il suo staff e i vertici di SocGen per portarsi a casa il 15,3% della Parmalat. Da parte loro i tre soci esteri, che avevano sempre detto di essere interessati alla crescita industriale di Collecchio, ieri si sono preoccupati di spiegare al mercato le proprie ragioni. Il cambio repentino di scenario con la presentazione di più liste «ha determinato un rischio crescente di un consiglio di amministrazione diviso e di una governance inefficiente. Questi eventi hanno indotto i fondi a concludere che l’intento iniziale di creare le premesse per lo sviluppo di Parmalat attraverso l’elezione di un consiglio di amministrazione altamente qualificato che i fondi avevano individuato è stato compromesso» . In effetti difficilmente si scrolleranno di dosso il ricordo di questo veloce cambio di strategia. Almeno in Italia. Ora il gruppo di Alba si mostra ancora possibilista ma alla stessa Ca de’ Sass l’operazione è considerata chiusa, a meno di miracoli. C’è l’incognita di un intervento del governo oggi ma l’istituto avrebbe comunque preferito un’operazione di mercato dove i numeri sembravano tornare da soli. E non è detto che Intesa Sanpaolo possa impegnare la propria immagine nel caso in cui tutto finisse a carte intestate dai ministeri. Dal punto di vista dei costi lo sgonfiarsi del titolo ieri potrebbe anche spingere a un nuovo rastrellamento a «sconto» rispetto a pochi giorni fa. Ma ora per far fronte ai francesi in assemblea e imporre la propria governance servirebbe un impegno in pochi giorni di circa un miliardo. Resta l’amaro per quelle «condizioni di mercato» che tutti fino ad ora avevano evocato dal fronte italiano ma che, evidentemente, sono state intraviste in tempo solo all’estero.
Massimo Sideri