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 2011  marzo 23 Mercoledì calendario

QUANDO LA POLITICA NON VUOL PARLARE DI GUERRA

Tra il 24 marzo e il 10 giugno 1999, i piloti italiani parteciparono a 1.378 missioni sui cieli della Serbia con 54 tra cacciabombardieri Amx e Tornado, lanciando 115 missili Harm e centinaia di bombe. In pubblico, però, non si poteva dire nulla. Americani e francesi, inglesi e tedeschi— alla primamissione all’estero dopo la Seconda guerra mondiale — rivendicavano l’intervento e ne davano un resoconto puntuale; il governo italiano no. Non bisognava dirlo. Cossutta non voleva. Il leader comunista aveva guidato una dolorosa scissione, per consentire la nascita del governo D’Alema. Non aveva la forza di impedire la partecipazione italiana alla guerra, ma potè impedire che fosse resa pubblica. Le cifre furono comunicate a operazioni concluse. Sul momento, l’unica cosa evidente fu la frustrazione dei comandi e degli uomini impiegati sul campo.
Oggi, Berlusconi annuncia che «gli aerei italiani non hanno sparato e non spareranno» . Ma che succede se i radar li Gheddafi li inquadrano, se la contraerea li punta? È evidente come sia impossibile escludere a priori che i Tornado, una volta decollati, possano aprire il fuoco. Però non bisogna dirlo. Bossi non vuole. Una situazione paradossale, che la conferenza stampa improvvisata sulla pista dal pilota appena atterrato non ha certo contribuito a chiarire.
Nel ’ 99, molti elettori di sinistra guardavano con angoscia all’intervento in Kosovo. Oggi, la Lega e gli scettici del Pdl esprimono preoccupazioni largamente diffuse nell’opinione pubblica, e non solo in quella di centrodestra. La prospettiva di una guerra alle porte di casa, dell’arrivo in massa dei profughi, della rinegoziazione dei contratti petroliferi a favore di francesi e inglesi non entusiasma nessuno. Ma la guerra non l’hanno cominciata gli europei.
I profughi sarebbero stati forse ancora più numerosi, se a Gheddafi fosse stato consentito di soffocare nel sangue la rivolta di Bengasi. Tutelare l’interesse nazionale è diritto e dovere di ogni governo; ma la permanenza al potere di un dittatore macchiatosi del sangue del suo stesso popolo, che ci accusa di tradimento e ci rivolge ogni sorta di minacce, ormai non è più nell’interesse dell’Italia. Aprire una polemica postuma sui rapporti trascorsi con Gheddafi è controproducente per tutti: al di là degli eccessi folkloristici, il centrodestra ha tenuto verso la Libia una politica in continuità con quella del centrosinistra. Invocare la diplomazia e le inevitabili sanzioni è più facile che assumersi le proprie responsabilità; ma quali sono gli spazi di trattativa diplomatica con un satrapo che annuncia tre volte un cessate il fuoco, per violarlo ogni volta dopo poche ore?
Comportiamoci da Paese serio, che non nasconde il proprio operato ma lo rivendica. Recuperiamo un minimo di unità nazionale a sostegno delle forze armate, di quelle mobilitate per vigilare sul canale di Sicilia e a maggior ragione di quelle impegnate sui cieli libici. Mettiamo i nostri uomini nella condizione di svolgere il loro mandato sino in fondo, con la professionalità e il riguardo per i civili riconosciuti dal mondo intero. Senza pretendere la cronaca della guerra minuto per minuto, ma anche senza occultare i rischi e i meriti di chi compie una missione in cui può riconoscersi l’intero Paese.
Aldo Cazzullo