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 2011  marzo 23 Mercoledì calendario

STATO E IMPRESE FANNO BLOCCO E LA FRANCIA VINCE SUI MERCATI

Il protagonismo francese di queste settimane sulla scena internazionale, politica ed economica, è il frutto insieme di una debolezza e di una forza. La debolezza di un presidente e la forza di un sistema.

Nicolas Sarkozy, che sul fronte interno registra livelli storici di impopolarità, aveva deciso di giocare tutte le sue carte sulla visibilità nelle iniziative all’estero, cercando di approfittare della contemporanea guida del G-8 e del G-20 per recuperare consensi in vista delle presidenziali del maggio 2012. Ma l’anno si è aperto in modo a dir poco disastroso. La gestione della vicenda tunisina è stata imbarazzante, per una media potenza che sogna ancora di essere grande, a maggior ragione sulla sponda Sud del Mediterraneo. E ha costretto Sarkozy a sbarazzarsi del proprio ministro degli Esteri, Michèle Alliot-Marie, nominato appena tre mesi prima.

Con la Libia è stato ben attento a non commettere gli stessi errori. Appena ha visto che si presentava l’occasione di diventare agli occhi del mondo (arabo e non) il salvatore degli oppressi contro un personaggio impresentabile come Gheddafi ne ha subito approfittato. In maniera persino troppo precipitosa, tanto da mettere inizialmente in difficoltà il navigatissimo Alain Juppé, nuovo titolare del Quai d’Orsay. Per ora gli è andata bene, la Francia è con lui.

Quanto all’offensiva industrial-finanziaria scatenata in Italia la tempistica è del tutto casuale, nel senso che ognuna delle operazioni realizzate o tentate fa storia a sè. Ed è il frutto di scelte che vengono da lontano, dagli anni 70 e 80.

Quando infatti in Italia impazzava lo slogan "piccolo è bello", inneggiando ai meriti (che peraltro ci sono stati) delle piccole e medie aziende familiari, in Francia si optò per i "campioni nazionali" e le filiere industriali. Nell’energia, nella finanza (banche e assicurazioni), nella difesa, nei trasporti, nelle costruzioni, nell’agroalimentare. Per citare solo i settori più rilevanti.

Scorrere la lista delle società del Cac 40 è abbastanza impressionante: da Axa a Vinci è un lungo elenco di gruppi che stanno nelle top five o al massimo nelle top ten mondiali. La seconda caratteristica di queste grandi aziende è di essersi fortemente internazionalizzate da tempo. Mentre molti altri ci stavano ancora arrivando, negli ultimi anni hanno potuto consolidare la loro presenza sui mercati che solo per abitudine continuiamo a chiamare emergenti. Un esempio per tutti, scelto da un comparto - quello del lusso - che sta andando per la maggiore: Lvmh, che ora si è comprato Bulgari, ha aperto il suo primo negozio in Cina vent’anni fa.

Quando una piccola o media azienda italiana, per gioiellino che sia, ha bisogno di crescere e di avere sbocchi sui mercati più promettenti è quindi normale che la sponda francese sia la più allettante.

Senza peraltro trascurare che lo shopping non è avvenuto solo in Italia ma, rimanendo in Europa, anche sugli altri mercati più permeabili: la Spagna (per esempio nella grande distribuzione) e la Gran Bretagna (l’acquisizione di International Power da parte di Gdf Suez è stata la più grande operazione di m&a del 2010).

A questi elementi se ne aggiungono almeno altri due. Da un lato i rapporti interni - e le complicità - di una classe dirigente che ha fatto in larga parte lo stesso percorso formativo, quello delle grandi scuole, e dall’altro l’interventismo pubblico. Che a sua volta si esprime in due modi. Il primo riguarda la presenza che lo Stato azionista ha ancora oggi in molte aziende ritenute di interesse nazionale, nell’energia, nella difesa, nei trasporti (gli asset pubblici sono stimati in circa 660 miliardi e continuano a crescere con l’utilizzo del Fondo strategico voluto da Sarkozy). Il secondo la sua capacità di fare pressione sulle singole operazioni. Quando PepsiCo fece capire di avere mire su Danone il governo trovò il modo di mobilitare gli agricoltori e nel contempo fece sapere al governo americano che l’operazione non sarebbe stata ben vista.

Eccoli, i veri meccanismi anti-Opa dei francesi. Eccoli, i veri strumenti di quello che loro chiamano «patriottismo economico» e altri protezionismo. La legge (il decreto di fine 2005 su difesa e sicurezza nazionale) non c’entra nulla.