Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 23 Mercoledì calendario

Quando la scienza fallisce - Non credo ci sia niente di più facile che fare del catastrofismo scientifico l’argomento di un buon «instant book» da far uscire in prossimità della guasto ad una centrale nucleare (dovuta all’idiozia degli umani o allo scatenarsi delle forze naturali è più o meno indifferente)

Quando la scienza fallisce - Non credo ci sia niente di più facile che fare del catastrofismo scientifico l’argomento di un buon «instant book» da far uscire in prossimità della guasto ad una centrale nucleare (dovuta all’idiozia degli umani o allo scatenarsi delle forze naturali è più o meno indifferente). Ecco, il libro di Svetlana Aleksievic «Preghiera per Cernobil» è esattamente il contrario di tutto ciò. Scritto nei 10 anni successivi al tragico guasto della centrale bielorussa, è costruito con una corposa serie di testimonianze, interviste, monologhi dei testimoni diretti (per non dire vittime) di quella tragedia. Testimonianze, interviste e monologhi cuciti insieme a formare una trama letteraria: il lavoro dell’autrice si è giocato nel montare le voci degli altri in un lungo, straziante e significativo racconto. Ne viene fuori un’inchiesta narrativa di sorprendente bellezza e immenso valore letterario. L’argomento più esplicito riguarda, appunto, il disastro di Cernobil e le sue conseguenze sulla popolazione della Bielorussia; il fallimento della scienza e della tecnologia nel caso in cui quest’ultima sfugga dal controllo dell’uomo; il grado di distruzione che la tecnologia può riversare sull’uomo, se la presunzione scientifica di questo comincia ad eccedere. Ma, come mostra chiaramente la testimonianza di un fisico, ex direttore di laboratorio all’Istituto di Energetica Nucleare bielorusso, il racconto in realtà si spinge ben oltre: «Io della fisica ero veramente innamorato e pensavo: non vorrei occuparmi di nient’altro che non sia la fisica e, invece, adesso mi è venuta voglia di scrivere. Su che cosa? Sul fatto, ad esempio, che per la scienza l’uomo di cuore è un incomodo, un elemento di disturbo. Su come pochi fisici possano cambiare il mondo intero. La nuova dittatura. La dittatura della fisica e della matematica... Mi si è aperta un’altra vita nuova...». E così, come sa fare solo la grande letteratura, e in particolare quella russa, il libro, che poi è il racconto delle «vittime» di Cernobil, diventa il racconto della vita e della morte, dell’amore, dell’innamoramento, della miseria umana e della bellezza dell’umanità, della inesauribile lotta tra l’uomo e la natura o, per meglio dire, dell’immensità sconfinata della natura e di come non sia possibile contenerla in un sarcofago di piombo e cemento. In questo libro non accade ciò che siamo soliti aspettarci da libri del genere, e cioè che degli argomenti scientifici vengono prestati alla letteratura, quello che accade, piuttosto, è che viene fatto della scienza un argomento letterario, spingendola a dire ciò che solo la letteratura sa dire. Così, per quanto tristemente attuale (pensiamo alla tragedia alla centrale di Fukushima), il libro dell’Aleksievic rimane un capolavoro che non deve il suo valore o il suo interesse al fatto che racconti del disastroso guasto ad una centrale nucleare. Si parte da lì, ma - come scopriranno i partecipanti al concorso «La Scienza Narrata» - si parla della vita nel senso più ampio possibile, cioè dando seguito a Wittgenstein, del mondo. La testimonianza con cui si apre il libro è quanto mai esplicita: «Non saprei di cosa parlare... Della morte o dell’Amore? O magari è lo stesso?... Di cosa allora?».