MATTIA FELTRI, FULVIA CAPRARA, La Stampa 23/3/2011, 23 marzo 2011
“Silvio Forever”, il blob delude gli anti Berlusconi - Siccome commissionò a Pietro Cascella un monumento funebre che non fosse la cupa ridondanza dell’eterno riposo ma un inno alla vita, Silvio Berlusconi non cederà alla scaramanzia se qualcuno gli dirà che Silvio Forever - il film di Roberto Faenza e Filippo Macelloni e scritto da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella - è un perfetto coccodrillo (e lui ha il raro privilegio di assistervi ante mortem)
“Silvio Forever”, il blob delude gli anti Berlusconi - Siccome commissionò a Pietro Cascella un monumento funebre che non fosse la cupa ridondanza dell’eterno riposo ma un inno alla vita, Silvio Berlusconi non cederà alla scaramanzia se qualcuno gli dirà che Silvio Forever - il film di Roberto Faenza e Filippo Macelloni e scritto da Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella - è un perfetto coccodrillo (e lui ha il raro privilegio di assistervi ante mortem). La classica galoppata di un uomo eccezionale - un uomo che fa etimologicamente eccezione - raccontata secondo i classici canoni dell’autobiografia non autorizzata, secondo la classica struttura giornalistica di cui Rizzo e Stella sono campioni. Un film che contiene il clamoroso e inatteso pregio di rimanere irrisolto, di essere un documentario e non una requisitoria, di essere un laico divertimento e non un’apologia. La cosa ha gettato nella depressione un buon numero di giornalisti inquirenti che nella conferenza stampa successiva alla proiezione in anteprima nazionale (e in contemporanea a Roma e a Milano) hanno coperto registi e autori di domande che erano poi la variante di un unico quesito: perché non avete messo in piedi un girotondo della rettitudine contro il tiranno? L’attesa, infatti, era come per un film di Michael Moore, di Alexander Stille o di Sabina Guzzanti, una pellicola che muovesse dall’incrollabile certezza e si proponesse di dimostrarla fotogramma dopo fotogramma. Silvio Forever , invece, e nonostante premesse come la buffa censura dalla Rai, è un film che nasce dalla scandalosa prospettiva di chi è senza una verità. Berlusconi è il personaggio multifronte che in una carrellata di immagini indossa sempre un cappello diverso, è gaffeur, è charmant, è ambiguo, è simpatico, è bugiardo, è amato, è odiato. Ha una vita di trionfi e origini opache. Ha una considerazione di sé che nei momenti più autocritici è semidivina. In uno straordinario passaggio, don Luigi Verzé ricorda lo scoramento del premier dopo che ha ricevuto una miniatura del Duomo in bocca, un uomo che sanguina e si rivolge al Cielo: «Padre! Perdonali perché non sanno quello che fanno». E nelle intenzioni di don Verzé darebbe lo spessore caritatevole dell’uomo, e nello spettatore introduce il sospetto del delirio. La partenza del film è dedicata a Berlusconi che racconta sé da bambino, e non c’è merito che si neghi: a dodici anni ha già inanellato una serie di successi, soprattutto etici, che uno rischia di mancare nell’esistenza intera. Non c’è minuto libero, dai sei anni in su, che egli non dedichi al lavoro e alla filantropia. Va a mungere le mucche e porta a casa il secchiello col latte. Fa l’intagliatore. Salva la vita alla sorellina scivolata in un mastello d’acqua. Si guadagna carne e burro. Alle medie dà ripetizioni a quelli delle elementari e se non ne rimediano un 6 meno restituisce il compenso. Mette i soldi sul comodino del padre. Non è immemore della beneficenza. Diventa anticomunista affiggendo nel 1948, neanche dodicenne, i manifesti della Dc e nonostante i giovani comunisti gli scrollassero la scala nell’illiberale tentativo di farlo cadere («lì diventai anticomunista»). Canta così bene Maurice Chevalier che Nunzio Filogamo vorrebbe portarlo in tv, mettendo così l’impronta a un destino. Ovviamente è sempre il primo della classe, e siamo a un punto della carriera in cui ancora non si fa la barba. Tante cose tutte assieme uno proverebbe pudore a raccontarle anche ai più stretti parenti, anche se fossero scolpite nella pietra. E soltanto in questo frangente c’è una carica di ironia definitiva che dà a Berlusconi quello che è di Berlusconi: la vanagloria, l’affabulazione, la megalomania, il fascino. Non è che il film sveli chissà quali retroscena. Non è quello il punto. È soltanto la riproposizione di una avventura unica, costellata di vittorie impronosticabili, da costruttore che edifica intere città, da editore che lancia l’emittenza privata (si vede e si apprezza il passaggio da un contegnoso frate in bianco e nero a esagitate ballerine in mille colori), da presidente del Milan che in due anni diventa campione d’Europa, da leader politico che in tre mesi issa le bandiere su Palazzo Chigi. Non gli si risparmia nulla, la P2, le sospette collusioni con la mafia, le tangenti, le promesse mancate, i taglienti giudizi di Indro Montanelli, naturalmente tutto l’ultimo squalificante gineceo. Ma (ed è questo il cuore del film) non si può ancora dire in quale sfumatura fra il santo e il delinquente risieda il vero Berlusconi: ognuno ci vedrà quello che gli pare, ognuno inquinerà poco o tanto i più solidi convincimenti. E così, incredulo davanti alle accuse di scarso coraggio avanzate dai cronisti, Faenza ha ripetuto in conferenza stampa quello sostenuto nel film: dietro a Berlusconi non c’è finzione. C’è quel tizio paradossale e in carne e ossa che, ai tempi dell’oscuramento delle reti Fininvest, si ribella e grida «canale uno ricchioni!». È un paese che esiste, completamente incompreso. E pure al povero Neri Marcorè, che nel film offre la sua voce per le parti non coperte da audio originali, è toccato di tenere una prima lezione sui postulati della democrazia a chi sollecitava una via cinematografia all’insurrezione: Berlusconi («non è un nemico», aveva appena detto Stella) è un presidente del Consiglio che lui non apprezza, ma che resterà tale almeno fin quando la minoranza non diventerà maggioranza. MATTIA FELTRI *** LA BIOGRAFIA DI UN ITALIANO MA IL CINEMA È UN’ALTRA COSA - Spezzoni di tg, brani di varietà, interviste e filmati d’epoca, politici giovani ora fortemente invecchiati (non è vero che il potere logora chi non ce l’ha), convention gremite di fan, titoli sparati sui quotidiani. «Silvio Forever» è un documentario sui nostri (ultimi) tempi, una sequela di immagini tenute insieme dalla voce di Neri Marcorè, senza nessuna forzatura a fini d’intrattenimento. Giudizi e considerazioni sono lasciati a chi vede, lo spettatore è sovrano, i registi (Faenza e Macelloni) hanno volutamente scelto di non prendere posizioni. Il fatto è che la rappresentazione della nostra realtà quotidiana, nuda e cruda, proprio come è o come sembra, è da tempo affidata alla tv, ovvero alla sua sintesi più riuscita, il «Blob» inventato da Angelo Guglielmi, Enrico Ghezzi e Marco Giusti. Il programma di Raitre ha abituato eserciti di spettatori a subire il fluido («mortale» nel film di fantascenza degli anni ‘50 che ispirò gli autori) senza esserne contaminati, a metabolizzare l’invasione degli ultracorpi. «Silvio Forever» potrebbe avere lo stesso effetto. Niente di male, anzi. Ma il cinema è un’altra cosa. FULVIA CAPRARA