FABIO MARTINI, La Stampa 23/3/2011, 23 marzo 2011
Pertini e Napolitano Così diversi, così simili - Mancava un’ora all’arrivo di Giorgio Napolitano a Varese - la città culla del leghismo - e centinaia di persone in piedi gridavano «dateci le bandiere tricolori» e all’arrivo del Presidente si erano messe a cantare per strada l’inno nazionale: due immagini che, 48 ore fa, hanno finito per trasformarsi in un evento simbolico
Pertini e Napolitano Così diversi, così simili - Mancava un’ora all’arrivo di Giorgio Napolitano a Varese - la città culla del leghismo - e centinaia di persone in piedi gridavano «dateci le bandiere tricolori» e all’arrivo del Presidente si erano messe a cantare per strada l’inno nazionale: due immagini che, 48 ore fa, hanno finito per trasformarsi in un evento simbolico. Il momento culminante di una popolarità del Capo dello Stato che negli ultimi mesi ha assunto manifestazioni sempre più palpabili. Al punto che, per la prima volta, non appare improprio un accostamento di Napolitano a un Presidente della Repubblica che in termini di favore popolare sembrava inarrivabile: Sandro Pertini. Certo, due personaggi e due Presidenti tra loro diversissimi. Per storia politica, per stile, per linguaggio. Pochi i punti di contatto, alcuni abbastanza casuali (Pertini è entrato al Quirinale a 82 anni e Napolitano a 80, entrambi sono stati presidenti della Camera), altri meno: i due sono diventati Capi dello Stato dopo carriere prestigiose, che però non erano bastate a renderli conosciutissimi dal «grande pubblico». Sandro Pertini - eroe dell’antifascismo con le sue «sei condanne e due evasioni» - viene eletto Presidente nel luglio del 1978: è un personaggio isolato nel suo partito, il Psi, è considerato privo di sensibilità politica e la sua elezione coincide col momento di massimo discredito della politica, accerchiata dal terrorismo e dagli scandali. Ma Pertini darà un’interpretazione scoppiettante al suo settennato. Travolge il protocollo, usa un linguaggio diverso dal politichese in voga. Quelli della P2? «Piaccia o no, io li accuso!»; l’esito incerto delle inchieste sulla strage alla stazione di Bologna? «Mi sento umiliato». Chiama Pippo Baudo in diretta tv, dispensa consigli al ct della Nazionale di calcio in una escalation che culmina nel giorno in cui il “Radiocorriere tv” gli dedica la copertina come campione di popolarità. A fianco di Raffaella Carrà e di papa Wojtyla. Sostiene Emanuele Macaluso, allora uno dei dirigenti di punta del Pci: «Certo, Pertini e Wojtyla furono i popolari “pastori” di una stagione: Pertini - per la cordialità, la simpatia, la spontaneità e qualche punta di demagogia - piaceva alla gente. Lo sentivano come uno di loro». Eppure, per dirla con il sociologo Gianni Statera, autore di un libro apripista come «La politica spettacolo», «l’immagine di Pertini, pur Presidente della Repubblica, è scarsamente associata con l’immagine dello Stato e delle sue istituzioni», avendo scelto di «essere il portavoce della gente comune», di «impersonare piuttosto la società che non lo Stato stesso». Ed è proprio qui che cominciano ad affiorare le diversità, quelle che un ex dirigente socialista come Rino Formica chiama «le diverse strade alla popolarità da parte di due presidenti molto diversi». Appena insediato al Quirinale, nel maggio del 2006, Giorgio Napolitano ha confermato la sua vocazione istituzionale, la sacralità che attribuisce alle parole, la forma che per lui è quasi sempre sostanza. Certo, ogni tanto Napolitano si è concesso qualche «licenza» («Ricordate che fine ha fatto il ddl intercettazioni? Sul binario morto? Ecco...») e più di recente ha mostrato una cifra emotiva che un vecchio amico come Macaluso spiega così: «Lui è sempre stato compassato e controllato, ma umanamente è sempre stato molto sensibile. Non mi stupisce che possa commuoversi». La cifra fondamentale della presidenza Napolitano è la continuità con quella rigorosa acribia che aveva segnato la sua «vita precedente». Sostiene il professor Guido Crainz, storico senza schematismi dell’Italia contemporanea: «Mentre Sandro Pertini, da vecchio socialista, in qualche modo la popolarità se la “cercò” anche con qualche eccesso, ma lo fece legittimamente se si pensa al totale discredito nel quale si trovava la politica al momento della sua elezione, un Presidente come Napolitano - nella linea di Scalfaro e Ciampi - gode di un consenso popolare più confortante perché lui unisce nel nome di solidi valori costituzionali». Aggiunge Formica: «La popolarità di Napolitano non è giocata sul piano della personalizzazione, ma sulla fierezza della continuità con una tradizione e con uno stile». E dunque, pur nelle loro profonde differenze, i due Presidenti hanno finito forse per diventare popolari per lo stesso motivo:entrambi hanno utilizzato un linguaggio e uno stile contrapposti a quelli dei politici «in voga» nella loro stagione? «Sì - dice Crainz - mentre Pertini ruppe col politichese e con i suoi riti, in Napolitano è rivoluzionaria la misura, una misura che è fermezza in un contesto politico che è così sconfortante».