Maurizio Chierici, il Fatto Quotidiano 23/3/2011, 23 marzo 2011
DIMMI CON CHI VAI
Gheddafi resiste aggrappato alla decisione dell’Onu che impedisce di rovesciarne il governo: prova a fermare il conteggio dell’agonia decisa a Parigi con la sconsolazione del coro che lo circonda. Quei presidenti di lungo corso ormai rassegnati all’esilio, Ben Alì e Mubarak, adesso la rabbia di Ali Abdali Saleh: Yemen che precipita. Quando ministri e generali voltano le spalle i giorni diventano difficili. Il raìs ne sa qualcosa. Appena finirà la follia di una guerra “che non è guerra” chissà se scapperà, dove non si sa. Impossibile nel Venezuela di Chávez, continente più insicuro del mondo perché le ombre dei contractors (mercenari) da mezzo secolo spuntano dietro ogni cespuglio. Intanto la rete degli amici dalla mano robusta si è sciolta nell’opportunismo.
CHI SPERAVA nella resa lampo s’improvvisa re Travicello: sottoscrive le bombe ma rimpiange gli abbracci perduti, quel dolore dell’essere frainteso. Un giorno spiegherà. Imbarazzo sepolto sotto le ragioni di Stato, economie che non sopportano la febbre del petrolio, ma per carità, Gheddafi resta l’amico di chi non dimentica gli affari. Quando scapperà, se scapperà, ma dove? Potrebbe essere nella Bielorussia di Aleksandr Lukashenko, presidente a vita. Nelle ultime settimane gli ha spedito a Tripoli 40 tonnellate di missili e armi fino a quando Sarkozy ha chiuso i cieli della Libia. E nella Libia sotto tiro continuano ad arrivare le parole di un Putin che non si scoraggia. Insomma, Lukashenko può essere il salvagente che riunisce amicizie intrecciate con entusiasmo: amico del raìs, amico di Putin, amico di Narzabayev, presidente a vita del petrolio kazako, amico di Silvio Berlusconi il quale ammira Putin, Narzabayev, Mubarak, Ben Alì, giro di affetti che si allarga agli emiri di Dubai e Abu Dhabi, lavanderie degli affari sporchi dove ha in mente di aprire un’altra casa; scende nell’Eritrea di Isaias Afweki, insomma, bel giro di governanti dalla politica robusta. Nelle campagne elettorali Lukashenko prometteva agli avversari che lo accusavano di violare la Costituzione “se vinco finirete sull’Himalaya“. Vince fregandosene di Unione europea e Stati Uniti: non riconoscono il risultato “inquinato da imbrogli e da una propaganda distribuita senza concorrenza su giornali e televisioni controllate dal suo governo”, ultimo reperto del comunismo in Europa. Mantiene le promesse: sospende dal Parlamento 89 deputati “sleali e non costruttivi”. Seduzione irresistibile per il premier italiano il quale rompe l’embargo e dopo 12 anni di isolamento imposto dalle plutocrazie della vecchia Europa, va a trovare Lukashenko a Minsk per farsi aprire gli archivi del Kgb. Vuol mettere le mani “sull’opposizione comunista di Roma”, sicuro di scoprire i soldi segreti mandati in Italia dal Cremlino. Non deve aver trovato granché, a meno che siano carte talmente avvelenate da tirar fuori solo quando l’acqua arriva alla gola. Per non far sapere che il viaggio in Bielorussia è organizzato da Putin, Berlusconi scioglie tra un abbraccio e l’altro un’ammirazione sconfinata: “L’amore del popolo per il suo presidente lo si vede dai risultati elettorali: la Bielorussia lo ama”.
“RICORDEREMO per sempre la sua visita e le sue parole”: felicità di Lukashenko sdoganato dalla crudeltà dell’emarginazione dei paesi civili. Putin è il leader che viene dal comunismo padre più oscuro fra gli ex che Berlusconi adora. In questi giorni mantiene la diffidenza verso i nemici di Gheddafi: il telefono Palazzo Grazioli-Mosca deve essere rovente. Come fare marcia indietro senza dare nell’occhio, come riallacciare Gheddafi, non si sa mai che resista. La prima volta in vacanza a villa Certosa, Putin scende da un cacciatorpediniere armato fino ai denti. Amici per pacche sulle spalle, amici per il lettone che il signor P. fa arrivare dal Cremlino a Palazzo Grazioli. Amico talmente caro da invitare Ruby per le quattro chiacchiere della notte. Amico da difendere dai sospetti di una giornalista straniera che durante
la visita a Pratica di Mare mette in dubbio la trasparenza delle elezioni in Cecenia. E Berlusconi furioso la rimette in riga. Amici per aver attraversato assieme la rielezione di Bush nella dacia attorno a Mosca e poi il brindisi liberatorio affacciati sulla Piazza Rossa. Putin maestro nel mandare in galera l’editore della Istvezia, petroliere che trafficava in nero, stessa accusa che il Cavaliere deve sopportare in tribunale di Milano. Anche Narzabayev è stato il papa rosso del Kazakhstan, ma l’amore per i marxisti è un amore annunciato dal Cavaliere al Corriere della Sera quando ancora il Muro di Berlino divideva l’Europa, 1989: “I comunisti non mangiano i bambini. Sono perbene. Sto lavorando con loro, lavorerò sempre di più”. Cosa nasconde l’abbraccio al presidente a vita kazako? Forse deve chiedergli consiglio: con quale astuzia è riuscito a privatizzare la sua cassaforte di petrolio, giornali, gas, ferrovie Tv, liberando lo Stato centralista per dividere la torta con figlia, figlio, generi, cugini? E a che punto sono le ricerche ordinate a biologi famosi per allungare la vita “oltre i 100 anni”? Diciamo la verità: Isayas, il dittatore eritreo che in un solo giorno fa sparire 11 ministri mai più ritrovati, rappresenta non solo il sogno proibito, soprattutto i piccoli affari di famiglia dei quali discutere nei weekend di villa Certosa. Buon cuore verso Paolo, fratello del mattone: mille ville per turisti sul mare di Massawa. Amicizie sigillate da baci. B non desiste anche quando è complicato: Michelle Obama lo tiene a distanza allungando la lunga mano mentre il nostro presidente apre le braccia. La figlia di Erdogan, capo di Stato della Turchia, reagisce con uno spintone al baciamano di un testimone di nozze dall’eccessiva affettuosità. Povero Cavaliere: non lo avevano avvisato del sacrilegio che la sharia proibisce. L’iconografia dei baciamano a Gheddafi appartiene alla storia: a Roma e alla assemblea della Lega Araba.