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 2011  marzo 22 Martedì calendario

IL BRACCIO ROBOTICO CHE RENDE PERFETTO QUELLO DEL MEDICO

Un alieno dalle tante braccia. Le mani metalliche emergono dal "sistema", cuore pulsante del robot-chirurgo. Mani perfettamente allineate a quelle umane. Virtualmente sovrapponibili, ma realmente disponibili a ogni funzione. E, quindi, pronte a trasmettere gli impulsi che regolano gli snodi articolari in acciaio, a modulare la pressione da imprimere agli strumenti e a garantirne la precisione dei movimenti. È il Da Vinci. Silenzioso e ubbidiente collaboratore, esegue gli ordini dello specialista. Ordini che gli vengono impartiti dal joystick, mentre l´endoscopio in 3D e la risoluzione in alta definizione restituiscono sul monitor il campo anatomico. Il tremore delle mani, fisiologico e quasi impercettibile, è totalmente azzerato dal dimensionamento in scala. E poi lo schermo, touchscreen, permette di tracciare disegni a mano libera per pianificare l´intervento, fase per fase. Macchina e uomo, una simbiosi funzionale in nome e per conto della chirurgia. Una sinergia che diventa sempre più solida.
L´intervento comincia con l´induzione del pneumoperitoneo. Vuol dire che si immette meccanicamente anidride carbonica nell´addome (per distenderlo) da uno dei quattro, cinque fori praticati sulla pelle. Minitunnel del diametro da 5 a 12 millimetri scavati dai "trocart" (cannule-guida) negli strati cutaneo, sottocutaneo e muscolare, che consentono il passaggio di strumenti flessibili e snodabili. «La prima fase», premette Francesco Corcione, direttore di Chirurgia generale, laparoscopica e robotica al Monaldi di Napoli, «è la stessa che caratterizza la laparoscopia. Ma da questo momento le procedure diventano diverse perché il chirurgo-operatore che lavora lontano dal paziente viene aiutato da un collega esperto che resta al campo operatorio». Chi dirige l´orchestra, il chirurgo alla consolle, comanda a distanza gli strumenti collegati alle braccia robotiche. Contemporaneamente, con la pedaliera fa ruotare la telecamera, regola il fuoco dell´obbiettivo e posiziona i ferri chirurgici nella sede da raggiungere. «È il momento della dissezione, cioè dell´isolamento delle strutture anatomiche», continua il chirurgo, «facilitata dalla visione tridimensionale e dagli strumenti articolabili. Le procedure seguono poi i protocolli consolidati, con minimi e ben controllabili sanguinamenti grazie al bisturi a ultrasuoni che oltre a tagliare, coagula, cioè fa l´emostasi».
Ma robotica significa anche condivisione. Ed ecco che l´unico monitor integrato può essere collegato agli altri presenti in sala operatoria, consentendo a tutta l´équipe di seguire l´intervento. Per ora in commercio c´è solo il Da Vinci, robot dal costo elevato (circa tre milioni) ma dalla rapida evoluzione: ogni cinque anni un nuovo modello soppianta il predecessore. E insieme alla macchina si evolvono gli strumenti che, ieri di otto millimetri di diametro, oggi sono di appena cinque. A giovarsi della robotica, oltre a malattie urologiche come il tumore della prostata, figurano le patologie digestive. «È ideale per la chirurgia dei piccoli campi», sottolinea il primario, «come quello del tumore del retto dove si riesce a rispettare la radicalità oncologica e a preservare l´integrità nervosa. Ma anche per trattare le patologie del giunto gastroesofageo, e in particolare rappresenta il gold standard per la cura del megaesofago (dilatato): oggi si registrano meno lesioni operatorie grazie alla visione in 3D. Ottima l´applicazione della robotica nella confezione delle anastomosi digestive: le suture sul colon successive all´asportazione di un tumore risultano più precise».
Un futuro illimitato? «Macché», avverte Corcione, «di limiti ce ne sono. Per esempio al robot non sono consentiti ampi spazi di manovra perché una volta inserite in addome, le braccia meccaniche restano confinate in una determinata sede. E non bisogna dimenticare che con la tecnologia il "viaggio" è più comodo, ma distanza e rischi rimangono, come in qualsiasi procedura chirurgica. Più realistico invece soffermarsi sulla possibilità, già in fase avanzata di studio, di un´unica porta di accesso in addome: consentirà minor trauma e migliori condizioni di lavoro».