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 2011  marzo 20 Domenica calendario

Forse può farle piacere leggere, proprio in questi giorni, le parole che Verdi ha scritto il 3 gennaio 1855 a Mr Crosnier, direttore dell’Opéra, mentre stava discutendo del libretto dei «Vespri siciliani» che stava scrivendo Scribe: «Contavo sul fatto che il signor Scribe, come mi aveva promesso sin dall’inizio, avrebbe cambiato tutto ciò che offende l’onore degli italiani

Forse può farle piacere leggere, proprio in questi giorni, le parole che Verdi ha scritto il 3 gennaio 1855 a Mr Crosnier, direttore dell’Opéra, mentre stava discutendo del libretto dei «Vespri siciliani» che stava scrivendo Scribe: «Contavo sul fatto che il signor Scribe, come mi aveva promesso sin dall’inizio, avrebbe cambiato tutto ciò che offende l’onore degli italiani. Più rifletto su questo soggetto, più mi persuado che sia rischioso. Ferisce i francesi perché vengono massacrati; ferisce gli italiani perché il signor Scribe, alterando il carattere storico di Procida, ne fa (secondo il metodo da lui preferito) un comune cospiratore armato dell’inevitabile pugnale. Mio Dio! Nella storia di ogni popolo ci sono virtù e crimini, e noi non siamo peggio degli altri. In ogni modo io sono italiano anzitutto e, costi quel che costi, non mi renderò complice di una offesa al mio Paese». Eduardo Rescigno, Monza Caro Rescigno, I «Vespri siciliani» raccontano la storia dell’insurrezione di Palermo contro gli Angioni (la dinastia francese che regnava allora sull’isola) il 31 marzo del 1282. L’occasione della rivolta e del massacro che ne seguì fu l’attenzione volgare di un soldato francese per una donna siciliana nel piazzale della Chiesa di Santo Spirito. Ma le cause profonde furono la politica fiscale del governo e le trame di un partito che voleva cacciare gli Angiò per dare il trono dell’isola a Pietro III d’Aragona. Non è una storia «risorgimentale» , ma piacque ai gusti neo-medioevali della cultura europea dell’Ottocento e sembrò un canovaccio ideale per quei patrioti italiani che cercavano nel passato la radici dell’unità nazionale. Un drammaturgo francese, Casimir Delavigne, ne trasse una tragedia in cinque atti, rappresentata a Parigi nel 1819, e uno storico siciliano, Michele Amari, le dedicò un’opera pubblicata nel 1842 («La storia del Vespro siciliano» ) in cui volle dimostrare che la rivolta era stata un moto rivoluzionario nazional popolare, il segno di un indistruttibile desiderio d’indipendenza. Qualche anno dopo, nel clima che precedette i moti del 1848, questa tesi divenne pressoché universalmente condivisa. I «Vespri» furono da allora, a tutti gli effetti, risorgimentali e appaiono in una strofa dell’inno di Mameli: «Dall’Alpe a Sicilia, /dovunque è Legnano; /ogn’uom di Ferruccio /ha il core e la mano; /i bimbi d’Italia /si chiaman Balilla; /il suon d’ogni squilla /i Vespri suonò» . La lettera inviata al direttore dell’Opéra, caro Rescigno, lascia intendere che Verdi, invece, diffidava del tema e del modo in cui sarebbe stato interpretato. Non gli sembrava giusto che il nobile Giovanni da Procida, tornato in patria per combattere gli Angioini, venisse presentato da Scribe come un comune cospiratore. E non gli piaceva neppure che i francesi apparissero agli occhi degli spettatori come una incarnazione del male. Peccato che queste sue considerazioni non siano state lette da chi ha realizzato l’edizione dei «Vespri» rappresentata al Regio di Torino in occasione del 150 ° anniversario dell’Unità. Mi sembra di capire che questa vicenda medioevale è ormai piena di riferimenti alla mafia, al terrorismo e alla nostra più vicina attualità politica. Mi chiedo che cosa ne avrebbe detto Giuseppe Verdi.