Claudio Del Frate, Corriere della Sera 20/3/2011, 20 marzo 2011
«COSI’ CONVINSI MIO MARITO A DIRE SI’ AD AGNELLI»
L’uomo che «osò sfidare il re» è morto lontano dall’Italia, dimenticato, e le sue ceneri sono state sparse pochi giorni fa nel lago di Lugano. «Vittorio e io siamo sempre stati atei: non abbiamo voluto cerimonie. L’ultimo saluto è stato seguito solo da un cigno del lago» : dal 1971 al 2011 Giuliana Borghesi è stata la moglie di Vittorio Ghidella, l’uomo che fece grande la Fiat a partire dagli anni 70, il padre della Uno e della Thema, l’amministratore delegato della casa torinese dal ’ 79 all’ 88. E ora la signora Giuliana ripercorre i ricordi di una vita, ricordi privati ma che spesso si sovrappongono ai momenti salienti della storia italiana recente. «Quando arrivò la chiamata della famiglia Agnelli— così Giuliana racconta dalla sua casa di Lugano— Vittorio aveva appena ricevuto un’offerta dalla multinazionale svedese Skf per cui già lavorava. Me lo vidi arrivare a casa alle tre del pomeriggio, cosa mai successa, e mi chiese cosa doveva fare. "Sei italiano, spendi il tuo talento a favore del tuo Paese"fu il mio consiglio. Ma poi decise da solo» . I primi anni alla «corte» della Fiat Ghidella li spese a Chicago, alla divisione macchine agricole, la chiamata a Mirafiori arrivò nel ’ 79. «Al termine della prima giornata di lavoro — ricorda la moglie — tornò a casa sconfortato. "Non hanno un solo progetto, non c’è una sola idea nel cassetto". Allora si mise al lavoro prima di tutto studiando i modelli delle case concorrenti, facendoseli mandare dall’estero: "Ho visto un tizio uguale a Vittorio, ma guidava una macchina svedese"mi disse una volta un amico. E invece era mio marito per davvero. La macchina per cui aveva grande ammirazione era la Mini Minor, per tutta la vita ha invece detestato i Suv» . Il nome di Ghidella è legato alla nascita dalla Fiat Uno. «Non fu il sogno nato in una notte. Mio marito, con i suoi collaboratori aveva preso i modelli concorrenti, li aveva smontati e aveva studiato ogni singolo pezzo. Così nacque la macchina che rilanciò la Fiat. Vittorio fu però contrario alla presentazione dell’auto a Cape Canaveral: per lui era un’esagerazione» . Per anni Giovanni e Umberto Agnelli non nascosero la loro gratitudine all’ingegnere: «Con le famiglie ci si vedeva spesso, anche una volta la settimana. Poi come tutti sanno il rapporto si incrinò alla fine degli anni 80. Vittorio avrebbe voluto l’accordo con la Ford, Romiti era contrario e l’avvocato scelse di dare ascolto a Romiti. E allora Vittorio decise di lasciare la Fiat: la vita per noi a Torino diventò impossibile, eravamo quelli che avevano sfidato la dinastia, i traditori. Fu così che decidemmo di lasciare l’Italia e venire a Lugano» . Gli anni di Ghidella alla Fiat furono anche gli anni del terrorismo in fabbrica. «Quando uccisero il povero ingegner Ghiglieno, le indagini scoprirono che il vero obiettivo doveva essere mio marito. Ma non cambiammo le nostre abitudini di vita, nonostante avessimo trovato una finestra di casa trapassata da un proiettile o ci arrivassero telefonate con la voce di un bambino in lacrime e l a minaccia "questo è quello che proverà anche vostra figlia"» . Una volta lasciata Torino, in pochi si sono più ricordati dell’ingegnere: «Nel ’ 94 ci chiamò Berlusconi: voleva che Vittorio diventasse ministro dell’Industria, ma disse no. Con la politica ha sempre avuto pochi rapporti, anche se una volta mi confessò che Andreotti era una delle persone più intelligenti che aveva incontrato» . Anche con la famiglia Agnelli e la Fiat i rapporti si diradarono rapidamente: «Ci telefonava di tanto in tanto solo Margherita, ci inviava libri sulla storia della religione» .