Marco Imarisio, Corriere della Sera 20/3/2011, 20 marzo 2011
QUEI TRENTA INDIFFERENTI MENTRE SAHID MORIVA
I suoi ultimi istanti di vita sono in bianco e nero. Nell’inquadratura immobile della telecamera a circuito chiuso irrompe un uomo, nudo dalla cintola in su. Si aggrappa all’inferriata, lancia un urlo muto, si intuisce la parola aiuto. Barcolla, cade. Si rialza, avviandosi verso la strada. Alcune macchine se lo trovano davanti. Lui agita le mani, fermatevi per favore. Rallentano, guardano. Ripartono.
Quando arrivano i soccorsi sono passate alcune ore. Lo trovano sul ciglio di una provinciale, ormai è l’alba. Il ragazzo è accovacciato su se stesso, una patina di brina gli ricopre la schiena piena di ferite, deve essersi trascinato sull’asfalto. Lo scuotono. Spalanca gli occhi. Solleva la testa per farla ricadere a terra. Cerca di dire qualcosa. Non ce la fa. Sahid Belamel muore il mattino del 14 febbraio 2010 all’ospedale di Ferrara. «Ipotermia» , c’è scritto sul referto medico. Aveva 29 anni appena compiuti. Lavorava come aiuto carpentiere nei cantieri della zona, d’estate faceva lo stagionale nei campi. Insieme al fratello Rachid era partito dal Marocco un paio di anni fa. Si era fermato in Libia, era passato da Lampedusa. Gli piaceva ballare. Era andato alla discoteca Madame Butterfly. Aveva bevuto. Congestione. Aveva cominciato a stare male mentre ballava. Era in mezzo a tante persone, che lo hanno visto, lo hanno notato. Nessuno lo ha aiutato. «Si dispone il processo per le seguenti persone perché, avendo trovato o comunque essendo in compagnia di Sahid Belamel, persona in stato di incapacità di provvedere a se stessa e in evidente bisogno di aiuto, omettevano di prestare soccorso non chiamando un’ambulanza per le cure del caso o altra autorità, derivando dal fatto il decesso del Belamel Sahid avvenuto per insufficienza cardiaca conseguente alla esposizione dello stesso a basse temperature esterne privo di indumenti» .
C’è il suo amico e connazionale, che «pur avendo constatato il grave stato di pericolo in cui versava Belamel» si allontana con il suo telefonino. Ci sono l’addetto alla sicurezza del locale e il parcheggiatore, entrambi italiani, che si limitano ad accompagnarlo fuori dalla discoteca, senza preoccuparsi di chiamare i soccorsi. C’è il tassista chiamato presso la discoteca che «non acconsentiva ad accompagnarlo presso la sua abitazione» . Un anno dopo, è quello che resta. Quattro persone dovranno rispondere dell’accusa di omissione di soccorso. Dagli atti dell’inchiesta del pubblico ministero Nicola Proto, depositati in questi giorni, emerge un calcolo empirico, eseguito sommando la strada percorsa dall’uomo al numero di macchine viste in quei pochi minuti di filmato carpito dalle telecamere di sorveglianza delle aziende affacciate sulla strada. Sono almeno una trentina le auto che non si fermarono.
«Quello è forse l’elemento più agghiacciante. Ferrara è una città civile, il razzismo non c’entra nulla con questa storia. Sahid muore perché ogni persona che lo incrocia non vede in lui un essere umano che sta male, ma un impiccio ai propri impegni» . Gianluca Filippone è l’avvocato che rappresenta la famiglia Belamel. Conosceva Sahid, lo aveva difeso quando era stato trovato dai carabinieri senza permesso di soggiorno. «Nessuno lo ha fatto apposta, ed è ancora peggio. Ognuno ha cercato di togliersi un problema. I ragazzi che ballavano erano troppo presi a divertirsi, il suo amico era clandestino e temeva il controllo delle forze dell’ordine, il tassista aveva paura che sporcasse la vettura compromettendogli l’incasso del turno serale, gli addetti del locale gli hanno detto di andare via perché lì davanti poteva turbare i clienti. Lui lo ha fatto, li ha accontentati tutti. È morto di freddo».
L’agonia di Sahid sarebbe rimasta dove si è conclusa, ai margini della città, nella zona industriale dove si trova anche quella discoteca che attira giovani da tutta la provincia. La Nuova Ferrara, il quotidiano locale, decide invece di fare una cosa diversa. Pubblica una grande foto del giovane marocchino, e nel necrologio scrive «morto nell’indifferenza di tutti» . Riesce a dare il senso di quella morte, a far capire l’enormità di quel che è successo. Arrivano lettere, messaggi delle scolaresche, testimonianze che danno una spinta decisiva all’inchiesta. A ormai 13 mesi da quella notte, il sindaco Tiziano Tagliani non nega l’impatto simbolico della morte di Said, anzi. «Ha lasciato un segno. E spero che abbia fatto riflettere tutti, non solo in questa città, su cosa rischiamo di diventare. Si fa presto a cambiare cultura e atteggiamento, magari senza neppure rendersene conto. Proprio per questo è bene non dimenticarlo in fretta, Sahid» .
Il processo comincerà il 15 maggio. Racconterà di una piccola morte a Ferrara, non sarà certo un evento nazionale. Ma quelle carte giudiziarie che ricostruiscono una sofferenza indicibile e solitaria non parlano solo di una città, parlano di noi.