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 2011  marzo 22 Martedì calendario

Il vero federalismo è anche culturale - Il nome di Denis de Rougemont è primariamente legato a un saggio che lo studioso svizzero scrisse al­l’alba della Seconda guerra mon­diale, L’amore e l’Occidente , in cui è delineata una netta contrapposi­zione tra l’amore come vicinanza all’altro e l’amore come passione, tra agape ed eros , tra il riconoscimento del prossimo e quella tempesta emotiva nella quale chi c’è din­nanzi è solo un’occasione e un pretesto

Il vero federalismo è anche culturale - Il nome di Denis de Rougemont è primariamente legato a un saggio che lo studioso svizzero scrisse al­l’alba della Seconda guerra mon­diale, L’amore e l’Occidente , in cui è delineata una netta contrapposi­zione tra l’amore come vicinanza all’altro e l’amore come passione, tra agape ed eros , tra il riconoscimento del prossimo e quella tempesta emotiva nella quale chi c’è din­nanzi è solo un’occasione e un pretesto. Ma dopo quel testo e sviluppandone alcu­ni intuizioni, la sua riflessione si è incammi­nata soprattutto verso un ripensamento dell’Europa grazie a istituzioni federali. La recente pubblicazione di un volumet­­to intitolato Federalismo culturale ( portato in libreria dall’editore ticinese Pagine d’ar­te, pp. 42, 12 euro) permette di riscoprire la specificità dell’impegno politico di De Rou­ge­mont e il suo forte radicamento nella tra­dizione elvetica. Il testo è quello di una conferenza tenuta nel novembre 1963 a Neuchâtel, la sua cit­tà natale. L’occasione venne dal venticin­quesimo anniversario dell’Institut Neu­châtelois, un centro di cultura che molti an­ni prima- tra l’altro-aveva commissionato a lui e al musicista Arthur Honegger un’opera lirica,il Nicolas de Flue ,nella qua­l­e c’è un ritratto assai vivido di quell’eremi­ta del XV secolo del cantone di Obwalden che si batté per il rispetto reciproco e la pa­ce, e che occupa un ruolo importante nella rappresentazione di sé della Svizzera. De Rougemont era dunque legato a quell’isti­tuzione e nel suo intervento enfatizza l’im­portanza dell’incontro tra culture diverse. Il punto d’avvio è polemico. Solo qual­che giorno prima aveva ricevuto uno scrit­to dell’economista tedesco, ma svizzero d’adozione, Wilhelm Röpke, che esprime­va giudizi negativi nei riguardi del proces­so di unificazione continentale. In partico­lare, questi denunciava i pericoli per la li­bertà che potevano derivare dall’«enorme impasto di un’Europa una e indivisibile, un’Europa giacobina, sansimoniana, un rullo compressore che schiaccia al suo pas­saggio tutte le peculiarità politiche, spiri­tuali e morali». Come l’autore di Civitas Humana , De Rougemont avversa ogni ipotesi di un’Eu­ropa subordinata a un’unica sovranità, ma diversamente da lui non crede reale tale pe­ricolo. L’idea dell’Europa-Stato,ai suoi oc­chi, semplicemente non esiste. Vi sono in­vece due alternative: l’Europa delle Patrie, centrata sugli Stati nazionali, e una vera fe­derazione che sappia preservare le specifi­cità (in primo luogo, regionali e cittadine) dandosi pure una forte capacità d’azione comune. Si tratta, per usare le sue parole, di «elvetizzare l’Europa». A quasi cinquant’anni di distanza da quella conferenza dobbiamo riconoscere che di fronte all’Unione in costruzione si rivelò assai più acuto lo sguardo di Röpke. L’autore de L’amore e l’Occidente detesta­va a buon diritto gli Stati nazionali, ma non comprese come l’europeismo fosse figlio della stessa ideologia statolatrica. Nella conferenza egli insiste soprattutto sull’im­portanza del mercato comune e sull’esi­genza di affrancare la cultura da ogni con­trollo politico: l’Europa,insomma,gli appa­re soprattutto come l’occasione per inte­grare economie e dibattiti, aumentando l’autonomia degli intellettuali e delle uni­versità. Egli aveva colto bene come la tragedia del Vecchio Continente, travolto da due guerre mondiali, fosse legata alla centraliz­zazione operata dagli Stati. Ai suoi occhi la federazione europea doveva rappresenta­re la possibilità di deporre le logore bandie­re nazionali che hanno causato tanti lutti, permettendo lo sviluppo di un vero plurali­smo. Significative le parole sul controllo statale dei mezzi d’informazione: «la televi­sione oggi al servizio degli Stati gioca lo stes­so ruolo massificante che avevano l’istru­zione pubblica nel XIX secolo e la propa­ganda negli anni in cui trionfavano i totali­tarismi ». Per De Rougemont, indebolire lo Stato significa insomma rivitalizzare le pe­riferie e l’Europa è apprezzata proprio per il suo potenziale libertario. Nella complicata fase storica che il no­stro Paese sta vivendo, legata alla riscoper­ta (soprattutto a sinistra) di una mitologia risorgimentale da tempo confinata in pagi­ne ingiallite, De Rougemont può aiutare a riscoprire la complessità culturale che ca­ratterizza un Paese quale l’Italia, il quale contiene al proprio interno tante realtà, isti­tuzioni e storie tutte meritevoli di essere sal­vaguardate. Tanto più che - come proprio queste pagine sottolineano - ogni vera tra­dizione è tale se è viva, e quindi capace di evolvere, cambiare, assumere caratteri nuovi.