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 2011  marzo 22 Martedì calendario

Ecco la mappa della rete del terrore libico - Non occorre scomodare principi machiavellici e strate­ghi militare cinesi per sapere che il fine, se c’è una guerra da fare, giustifica qualsiasi mez­zo

Ecco la mappa della rete del terrore libico - Non occorre scomodare principi machiavellici e strate­ghi militare cinesi per sapere che il fine, se c’è una guerra da fare, giustifica qualsiasi mez­zo. Specie se il conflitto si pro­spetta impari e letale. Quel che potrebbe accadere in Ita­lia, al di là dei warning dei no­stri ministri della guerra per ora allarmati dalle reazioni del Nemico sul fronte bellico (plausibili secondo il ministro La Russa solo attentati isolati) e umanitario (invasioni certe di immigrati secondo Maroni) preoccupa le «antenne» del­l’intelligence europea che hanno ben presente la «rete» che da anni, su Roma e non so­­lo, cura i segreti e i servizi del Rais. «Rete» antica, efficace, capillare, oggi completamen­te rinnovata e ramificata nel­l’economia oltreché nel com­mercio militare. Rete cono­sciuta per metà. Che se fino a ieri Tripoli monitorava con dif­ficoltà provando a frenare l’exploit del fronte interno inte­gralista (collegato al network qaedista del «Lifg-Gruppo Combattente islamico libico» alleato ai resti del «Gruppo Sa­­lafita per il combattimento» estirpato dall’esercito di Ghed­dafi al confine con il Ciad nel 2004) adesso è costretta a farci i conti. Senza dirlo, senza pub­blicizzare la mossa della Vol­pe del deserto che s’è venduta ai Crociati. In ballo, ed è il timo­re degli analisti, è l’alleanza im­pura, da consolidare in chiave antiamericana, alimentando questo radicalismo antiocci­dentale che Gheddafi ha ini­ziato a cavalcare offrendo il fianco ad Al Qaeda nei suoi de­liri comizianti. Per non finire il pellicceria, la Volpe tenta l’az­zardo coi Fratelli Musulmani, con gli emissari salafiti, coi gruppi militarizzati inneggian­ti ai tanti martiri libici caduti in Iraq e Afghanistan. Per quan­to può, scarcera dalle segrete di Abu Salim terroristi e cattivi maestri. Continua sulla linea della liberazione indiscrimina­ta di colonnelli del calibro di Li­fg Sami Saadi e del guerriglie­ro Abdelhakim Bellai. Insom­ma, le gioca tutte anche se la partita sembra segnata. Solo la «Rete» europea può salvar­lo. Attentati mordi e fuggi. Non convenzionali, come quelli che alcune intercettazio­ni rivelate dal Messaggero avrebbero allarmato la Germa­nia. Terrore puro. Senza fir­ma, perché lui, il beduino Mohammar, ufficialmente è e resta la vittima, il tiranno che s’è fatto agnellino nella lotta al­la proliferazione nucleare e nella lotta al terrorismo qaedi­sta che ha obbligato gli Usa a «sacrificare» moralmente i morti americani alla discote­ca La Belle di Berlino, e gli in­glesi a passare sopra ai 300 ca­daveri della Pan Am con la ri­consegna dell’assassino al-Megrahi. Bombe in Europa per cessare gli attacchi in pa­tria. Fonti d’intelligence non smentiscono un certo nervosi­smo su questa «Rete» rimasta in sonno, ora sbandata perché estesa in tutto il Vecchio Conti­nente, e attratta da Derna, ve­ro centro propulsore del radi­calismo di Osama. Attraverso cani sciolti eterodiretti da pu­pari di mestiere, gli 007 temo­no un ritorno di fiamma, assai meno «gestibile» a livello di ap­parati di sicurezza, degli anni Ottanta. Quelli, per intender­si, coincidenti con le bombe a Bologna e Ustica,quelli dell’as­soluta arrendevolezza dei no­stri servizi segreti ai voleri dei sicari di Gheddafi a cui passa­rono gli indirizzi segreti degli esuli libici, uccisi uno ad uno, ma proprio uno ad uno, in una delle pagine peggiori della no­­stra storia democratica. Coi go­vernanti italiani incapaci di ri­bellarsi alle minacce economi­che. Fifoni e piagnucoloni di­fronte ai diktat del vicino nor­dafricano che li voleva ammaz­zare tutti e subito, gli infami. Quella «rete» agiva in tandem col Sismi che fece loro sparare in faccia a 5 connazionali della Resistenza. Il nostro incarica­t­o d’affari arrivò a scrivere a Ro­ma che se c’è da sacrificare qualcuno che lo si facesse in fretta, perché i rapporti com­merciali rischiavano il black out. Storia antica, dimentica­ta. Storia vergognosa. Che gli analisti oggi hanno il coraggio di riesumare e rivisitare per di­re che i tempi cambiano ma i sistemi restano. L’arma del ri­catto, della paura,dell’infiltra­zione, del sangue, può essere la stessa perché l’aria è la stes­sa. La «rete», ovviamente, ha cambiato uomini e pelle. E il nuovo che avanza giustifica mezzi impensabili solo qual­che mese fa, come una possibi­­le, tacita, futuribile e tempora­nea alleanza con il vice Osa­ma, Abu Yahya al-Libi, nemi­co ( finora a parole) di Ghedda­fi. Qui non si tratta di temere un nuovo attentato kamikaze sullo stile poco professionale di quello andato a segno alla caserma Perrucchetti di Mila­no del 12 ottobre 2009. E nem­meno di studiare l’entourage dei kamikaze libici-italiani an­dati a immolarsi per la guerra santa santa (Mohamed Aou­zar, Nourredir Lamor, etc). Si tratta di capire perché tanti li­bici (otto arrestati a Qurnà in Algeria) tre presi a Bagdad mentre stavano per far saltare un supermercato, altri 25 sor­presi in Egitto (prim’ancora l’icona Abu Lalthi al-Libi ucci­so in Pakistan) siano dati in movimento verso una nuova, definitiva, emigrazione Jihadi­sta che guarda sopratuttto al­l’Italia. Se si pensa che dell’ar­chi­vio dei combattenti irache­ni rinvenuto a Sinjiar, un quin­to erano di Derna e Bengasi, per i nostri 007 c’è poco altro da aggiungere. Siamo i tradito­ri per Gheddafi, che non sap­piamo se volevere dead or wanted? Importa poco. Al Qae­da e le sue quindici legioni so­no a duecento miglia da Lam­pedusa. Dove il mare è pesco­so, e la «Rete», coi suoi dispera­ti, da sempre tira su squali affa­mati. (ha collaborato Luca Rocca)