CLAUDIO GALLO, La Stampa 22/3/2011, 22 marzo 2011
Yemen, blindati si fronteggiano nella capitale - Nel gioco a chi indovina la prossima tessera del domino mediorientale destinata a cadere, da ieri i broker danno lo Yemen favorito
Yemen, blindati si fronteggiano nella capitale - Nel gioco a chi indovina la prossima tessera del domino mediorientale destinata a cadere, da ieri i broker danno lo Yemen favorito. Il merito è tutto del generale Ali Mushin al Ahmar, comandante della prima divisione armata, che è passato col peso dei suoi blindati dalla parte dell’opposizione in piazza. Alcuni generali lo hanno seguito, altri no. Così nella capitale Sanaa si fronteggiano i carri armati ribelli e quelli lealisti. È un altro gradino della discesa nel caos di un Paese muscolosamente sostenuto da Washington nella sua guerra strabica contro Al Qaeda: solo ventiquatt’ore prima il presidente Ali Abdullah Saleh aveva liquidato l’intero governo. Mentre gli occhi del mondo sono puntati sul bombardamento «politically correct» dell’ex caro amico dell’Occidente Gheddafi, una grande nazione che confina con la cassaforte del petrolio saudita potrebbe implodere, scatenando conseguenze imprevedibili nel Golfo Persico. Una regione dove già altri timer stanno ticchettando sopra le loro bombe. Saleh è iscritto al decaduto club dei dittatori arabi: da 32 anni al potere, anche lui (è il vizio dei soci) vagheggiava di lasciare il potere al figlio. L’idea che il generale Ahmed Ali Abdullah Saleh, comandante della Guardia Repubblicana e delle forze speciali potesse succedere a suo padre doveva aver disturbato il novello insorto generale Ali Mushin, che in un vicino passato, da braccio destro e membro della stessa tribù del presidente, accarezzava quella poltrona. Ali Mushin ha così scommesso sulla caduta del suo ex principale, non certo sulla democrazia che in un Paese fittamente intessuto nel tribalismo è un concetto ancora abbastanza esotico. Nonostante abbia combattuto al fianco degli americani contro Al Qaeda, il generale è considerato un islamista e in quanto tale guardato con timore da Washington, anche se uno dei maggiori esperti di Yemen, l’analista britannico James Spencer, spiega che in patria è considerato «un pragmatico» più che un estremista. Ali Mushin era da tempo sulla lista dei sospetti, voci non confermate parlano di un tentativo di assassinarlo. A Sanaa si dice che il regime avesse passato da tempo le coordinate del suo quartier generale all’aviazione saudita, non si sa mai. Proprio per questo l’ufficiale non ha più la capacità militare di una volta. Ma, nonostante il regime abbia cercato per tempo di tagliargli le unghie, la sua discesa in capo potrebbe essere ancora determinante. Se entro le prossime 48 ore non si troverà un difficile accordo politico (che comporterebbe le dimissioni di Saleh) l’unica soluzione sarà uno scontro tra i carri armati ribelli e quelli della guardia repubblicana. Questa frattura tra militari rende impossibile uno schema «alla egiziana», in cui l’esercito, rimanendo almeno in apparenza neutrale, piloti la transizione dal regime a quell’oggetto sconosciuto, forse la democrazia, che nessuna rivoluzione araba ha ancora svelato.