Michele Ainis, Il Sole 24 Ore 22/3/2011, 22 marzo 2011
SE IL DEPUTATO PENTITO PERDESSE LO SCRANNO? - C’è
una guerra esterna, che si consuma sui cieli della Libia. Ma c’è anche un fronte interno, terrestre anziché aereo. Dove? In Parlamento. In questo caso però le truppe non si combattono a colpi di cannone, bensì sfilando un generale o un fante all’esercito nemico, sfoltendo o rimpolpando i propri ranghi, giocando a rubamazzo. L’ultimo campione è Luigi Muro, che ha cambiato partito non appena ha messo piede nella Camera: dal Pdl a Fli. Poi c’è chi ha scelto la traiettoria inversa, o chi ha già inanellato quattro cambi di casacca (la senatrice Poli Bortone, nonché i deputati Catone, Moffa, Polidori, Siliquini). Fin qui i transfughi sono 121 in meno di tre anni; non è ancora il record della XIII legislatura (343 parlamentari su 956), però coraggio, di questo passo lo supereremo.
Si dirà che il trasformismo riflette i nostri più solidi costumi, dai tempi del "connubio" di Cavour o delle coalizioni animate da Depretis e da Giolitti. Si dirà inoltre che il divieto di mandato imperativo riecheggia in tutti gli ordinamenti liberali, perché affranca i parlamentari dalla tirannia dei loro partiti. Si dirà infine che la libertà di deputati e senatori rende libero lo stesso Parlamento, giacché il vincolo di schieramento renderebbe inutili sia i dibattiti sia i voti.
Ma sta di fatto che questa perenne transumanza sdegna i cittadini, li allontana dai loro rappresentanti nel Palazzo, e in ultimo mina la coesione nazionale, fuori e dentro le stanze del potere. Se in politica estera stiamo dando lo spettacolo di un’armata Brancaleone, deve pur esserci un motivo.
Nel frattempo s’alzano in cielo le proteste degli elettori che si sentono traditi, insieme alle invettive dei troppi moralisti che ingrassano nell’immoralità italiana. Ma è una reazione sterile, l’una e l’altra. C’è invece bisogno di riflessioni e di proposte. In primo luogo distinguendo le scelte individuali da quelle collettive: altro è infatti la folgorazione del singolo che si penta d’essersi candidato in un partito (o meglio si pente del partito, non della candidatura), altro la scissione politica per battezzare una nuova formazione. Insomma un conto è Scilipoti, un conto Rutelli o Fini. E in secondo luogo c’è bisogno d’immergere la garanzia del libero mandato parlamentare nel clima costituzionale introdotto dal porcellum. Cambia parecchio, anche se la Carta non è cambiata d’una virgola. Perché le liste bloccate hanno spezzato il cordone ombelicale fra eletti ed elettori, e perché il premio di maggioranza giocoforza vincola chiunque abbia guadagnato il proprio seggio grazie al premio.
Da qui una proposta secca: hai una crisi di coscienza? Sei in dissenso con la linea decisa dal partito? Allora rinunci al tuo scranno da parlamentare, e nessun altro vi siederà in tua vece. Così in un colpo solo ti restituiamo ai cittadini, castighiamo il partito che non ha saputo trattenerti, e per sovrapprezzo seghiamo i costi del Palazzo.
A meno che i pentiti non siano abbastanza numerosi da formare un gruppo autonomo (20 deputati o 10 senatori), perché in quel caso prevale la libertà del Parlamento, e dunque a prevalere è la politica, non gli uomini politici. È una riforma minima (basta correggere l’art. 67 della Costituzione) ma aiuterebbe le due Camere a recuperare la propria autorità perduta.
Magari affiancandovi l’introduzione del recall, che permette ai governati di revocare anzitempo i governanti, e che altrove funziona da decenni. Tanto per dire, in Svizzera risale al 1846, negli Usa fu introdotto a Los Angeles nel 1903, e dal 1911 opera anche a livello nazionale.
Insomma qui in Italia c’è bisogno di riforme che restituiscano efficienza alla macchina statale, superando per esempio il bicameralismo perfetto congegnato dai costituenti. Ma soprattutto c’è bisogno di coniugare etica e politica, potere e responsabilità, libertà e doveri. E questo sì, era esattamente l’obiettivo dei nostri padri fondatori.