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 2011  marzo 22 Martedì calendario

L’OPERAZIONE SIMPATIA DELLA CINA TRADITA DALLA GUERRA CONTRO GMAIL

«Noi non abbiamo alcun problema tecnico. Siamo di fronte a un blocco esercitato dal governo (cinese, ndr) in modo tale che sembri un nostro problema» . Con queste parole Google ha esplicitamente accusato Pechino di essere l’origine dei rallentamenti e delle difficoltà patiti, da alcune settimane, sia dal motore di ricerca sia, soprattutto, dal servizio di posta Gmail nella Repubblica Popolare. La denuncia di Google arriva a un anno quasi esatto dall’ormai famoso annuncio dell’azienda Usa, quando fece sapere che avrebbe rinunciato ad autocensurarsi in Cina e che dunque si preparava a uscire da quel mercato (un atto clamoroso che tuttavia non riuscì a fugare i sospetti che dietro il bel gesto nel nome della libertà d’espressione si nascondesse la consapevolezza che la fetta di mercato di Google in Cina si stava erodendo). Stavolta la faccenda è diversa. Pechino si è innervosita parecchio quando, un mese fa, hanno cominciato a circolare appelli a manifestare solidarietà alle rivolte «dei gelsomini» , dalla Tunisia in poi, evocando (fantomatici) gelsomini cinesi. Per quanto tradottesi in nulla o quasi, le voci hanno provocato intimidazioni alla stampa straniera, da parte del ministero degli Esteri e della Pubblica sicurezza, e attacchi a Gmail e alle vpn e ai proxy, ovvero i sistemi che consentono di aggirare la censura online.
Gmail è convinta che a pensar male si indovini. La Cina, qualunque siano le sue smentite, risposte e contraccuse, ancora una volta riesce a interpretare la parte del cattivo. Vanificata la genuina commozione per lo tsunami e il dramma nucleare del Giappone, rivale improvvisamente diventato simpatico e sostenuto con combustibile e soccorritori. Vanificate le prove di responsabilità dispiegate su vari scenari, dai patemi di Eurolandia (con l’acquisto di bond) al tacito assenso all’operazione in Libia (nonostante le critiche esibite ieri dalla stampa). Vanificati gli investimenti colossali per farsi conoscere e capire dal mondo, con media globalizzati e sorridenti, ovvero l’armamentario del «soft power» . Tutto scivola in secondo o terzo piano. E forse non è solo un problema di pubbliche relazioni.
Marco Del Corona