Marco Maroni, il Fatto Quotidiano 22/3/2011, 22 marzo 2011
GREENPEACE: PERICOLOSI ANCHE 14 REATTORI EUROPEI
Sono almeno 6 le centrali nucleari dell’Europa continentale, per un totale di 14 reattori, con standard di sicurezza inadeguati o, per dirla con le parole di Jan Haverkamp, esperto di nucleare per Greenpeace in Europa, i “reattori problematici”. Per la maggior parte si tratta di centrali costruite con tecnologia sovietica degli anni ’70 nei paesi dell’Europa dell’Est, a poche centinaia di chilometri dalle frontiere italiane. “La sicurezza è un grosso problema negli impianti dell’Est”, dice Haverkamp. Ma nella lista nera dei si-ti c’è anche la centrale spagnola di Garoña, in Spagna, il più vecchio impianto europeo, inaugurato nel 1968 e operativo dal 1971, del tutto simile a quello giapponese di Fukushima, che sta tenendo il mondo col fiato sospeso.
Haverkamp ci tiene a far notare che secondo lui centrali sicure non esistono e della stessa opinione è Massimo Scalia, fisico e nome di punta dell’ambientalismo scientifico italiano: “La sicurezza intrinseca nel nucleare non esiste”, dice Scalia , “i nuovi impianti hanno miglioramenti ingegneristici, le caratteristiche e la pericolosità della tecnologia sono sempre le stesse”.
MA LA LISTA compilata da Greenpeace qualche preoccupazione in più la fa sorgere.
Impianti obsoleti come quelli ungheresi, slovacchi e cechi, pur utilizzando tecnologie ritenute inadeguate dagli organismi internazionali del settore, sono tenuti in esercizio perché rendono e perché smantellarli costa più che tenerli in piedi. Una centrale nucleare infatti è prima di tutto una colossale impresa economica. Il calcolo economico risolve la questione del “massimo rischio accettabile” di un impianto nucleare con una semplice e cinica equazione, che confronta i costi della maggiore sicurezza con quelli che potrebbero derivare da un incidente.
UNO DEI PROBLEMI principali dei vecchi reattori europei (come di Fukushima), secondo gli esperti, è la mancanza di una seconda cupola di contenimento, un’ulteriore barriera in grado di raffreddare e contenere fuoriuscite radioattive anche in caso che le prime strutture attorno al nocciolo cedano. Nel caso dei reattori di tipo Candu, come quelli dei due impianti di Cernavoda, in Romania, tecnologia che Germania e Francia è stata messa al bando, il problema sembra invece legato al forte aumento della temperatura in caso di brusca interruzione del funzionamento.
È interessante notare che cinque sui 14 impianti della lista nera sono dell’Enel. Il campione del Rinascimento nucleare italiano e della retorica sulla sicurezza delle centrali, in attesa di rilanciare l’atomo in Italia è infatti diventato un protagonista della dubbia qualità nucleare dell’Europa Orientale. Nella Repubblica slovacca, attraverso Slovenské Elektrárne, Enel gestisce due reattori da 505 Megawatt a Jaslovské Bohunice e due da 440 MW a Mochovce. Nel sito di Mochovce il gruppo italiano sta peraltro cercando di completare la costruzione di altri due reattori, anche questi privi di guscio esterno di contenimento. L’affare, che sta costando 2,7 miliardi di euro, ha finora incontro diverse difficoltà. L’Aarhus convention compliance committee, comitato delle Nazioni Unite per il nucleare, l’anno scorso aveva disposto il blocco dei lavori per le irregolarità nel processo di approvazione del progetto. Nel 2008 Banca Intesa aveva sospeso il finanziamento all’iniziativa per i dubbi sulla sicurezza.
A UNA JOINT venture tra Endesa (società controllata dall’Enel) e Iberdrola, fa poi capo l’impianto di Garoña, che quest’anno festeggia i suoi primi quarant’anni. In Romania, l’E-nel sta invece portando avanti il progetto di completamento di due reattori di tipo Candu nel sito di Cernavoda. La costruzione della centrale, progettata su iniziativa del dittatore Nicolae Ceausescu nel 1980 dopo un viaggio in Canada, fu bloccata dalla rivoluzione del 1989. Nel 1996 la società statale Nuclearelectrica completò solo due dei cinque reattori previsti. Finché nel 2008 un consorzio di Nuclearelectrica con i gruppi Rwe (Germania) Arcelor Mittal (India) Gdf.Suez (Francia), Iberdrola ed Enel si impegnò nel completamento di altri due. Il problema è che nel gennaio scorso Rwe, Gdf-Suez e Iberdrola hanno abbandonato il progetto. Nella partita, che dopo Fukushima si fa sempre più difficile, ora restano solo l’Enel e gli indiani di Arcelor Mittal.