Giovanna Lantini, il Fatto Quotidiano 22/3/2011, 22 marzo 2011
BENI CONGELATI, QUINDI NESSUN PROBLEMA
Secondo gli ultimi conteggi, ammonterebbe a quasi 7 miliardi il controvalore complessivo degli investimenti libici in Italia, che sono stati congelati in linea con le ultime disposizioni Onu e Ue. Poco più della metà è in Borsa, dove le partecipazioni riconducibili alla famiglia Gheddafi e al governo del Paese nordafricano in Unicredit, Fin-meccanica, Eni, Juventus e Retelit sono state congelate e i diritti di voto sterilizzati. Senza contare le quote sotto il 2% (non dichiarate) e quelle in società non quotate come la Triestina Calcio e Banca Ubae. Al computo degli intrecci italo-libici soggetti alle restrizioni internazionali, andrebbe poi aggiunta anche Quinta Communications, società francese dove la Libyan investment authority è presente con il 10% circa accanto al finanziere franco tunisino Tarak Ben Ammar (68%) e alla Fininvest della famiglia Berlusconi che ne controlla il 22% attraverso la lussemburghese
Trefinance. Il congelamento e la sterilizzazione di quote che, per quanto rilevanti, sono per lo più di minoranza, tuttavia non comporta particolari complicazioni per le società coinvolte. In pratica, infatti, queste ultime si troveranno con un socio silenzioso cui versare i dividendi su conti correnti creati appositamente. Il che in alcuni casi e a seconda dei punti di vista, può essere un vantaggio.
PER ESEMPIO , chi come la Lega temeva un eccesso di potere dei soci libici nella seconda banca italiana, Unicredit appunto, in questa situazione può dormire sonni tranquilli. Tanto più che la sterilizzazione ha efficacia anche sul voto dell’uomo di Tripoli in cda, il vicepresidente della banca, Omar Bengdara. Un’incognita in meno, poi, per chi, come la strategica Finmeccanica, ha in vista il rinnovo del consiglio di amministrazione. Ben diversa la situazione di gruppi come il costruttore Impregilo, che in Libia aveva in corso tre contratti da 1 miliardo in totale ora congelati in attesa di un ritorno alla stabilità. Ancora più problematica e delicata la situazione dell’Eni, il principale operatore internazionale nell’estrazione del petrolio e del gas nel paese nordafricano. Sia gli esponenti libici che i vertici del gruppo italiano avevano ribadito una reciproca amicizia e confermato i contratti. Tuttavia il tema di nuove sanzioni per bloccare qualunque operazione economica alla compagnia di Stato Noc (National Oil Company) libica e alle sue partecipate e isolare economicamente il regime di Gheddafi è dietro l’angolo. “È una decisione che spetta ai governi. Noi possiamo fare due cose: applicarle immediatamente con un certo rigore, e fornire informazioni sulla produzione in Libia a chi ce le chiede – ha detto ieri un portavoce del Cane a sei Zampe a Sky Tg24 – ma è bene sapere che meno gas importiamo e più il gas costerà e questo si abbatte sui consumatori finali”. Secondo l’ex ad di Unicredit, Alessandro Profumo, invece, “il vero problema per chi opera in Libia è se gli asset delle imprese italiane presenti in quel Paese venissero congelati e nazionalizzati”.