Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera 22/03/2011, 22 marzo 2011
SILENZI E ROTTA A ZIG ZAG IL GIALLO DEL RIMORCHIATORE —
Adesso si cerca una soluzione per riuscire a «recuperare» l’equipaggio di «Asso 22» . Perché ormai da due giorni il rimorchiatore della società napoletana Augusta Offshore con a bordo otto marinai italiani — oltre a due indiani e un ucraino— è nelle mani delle milizie armate del colonnello Gheddafi. E non ci sono segnali che i militari abbiano intenzione di liberarli. Continuano a navigare in acque internazionali, poi puntano verso Tripoli ma improvvisamente invertono la rotta e riprendono il mare senza però fornire alcun segnale su quale possa essere l’obiettivo finale della loro azione. È un giallo, un mistero che tiene in scacco le autorità italiane. Grazie ai radar della Marina militare l’imbarcazione è tenuta costantemente sotto osservazione. Finora il governo italiano ha deciso di non prendere alcuna iniziativa nel timore di mettere in pericolo la vita degli ostaggi. Già questa mattina si potrebbe però decidere di intervenire quantomeno affiancando il mezzo e cercando di avviare un negoziato. Nessuna richiesta risulta infatti arrivata sinora, non sarebbe stato tentato alcun contatto. Da domenica mattina, quando i soldati sono saliti a bordo e poi hanno intimato l’interruzione delle comunicazioni bordo terra, c’è soltanto il silenzio. Ed è una situazione che con il trascorrere delle ore fa aumentare l’angoscia, soprattutto perché appare sempre più evidente che si tratti della prima ritorsione del regime nei confronti dell’Italia, indicata dallo stesso Raìs in cima alla lista dei Paesi «traditori» . I familiari di Salvatore Boscarino, Antonino Arena, Graziano Scala, Giovan Giuseppe Iapino, Giorgio Coppa, Luigi Colantonio e degli altri sono disperati, si appellano al ministero degli Esteri. Lo fa anche l’armatore Mario Mattioli, amministratore delegato di Augusta Offshore, ma secondo la diplomazia anche le scelte effettuate dai responsabili della società non appaiono del tutto chiare. È soprattutto un punto a lasciare perplessi gli analisti: perché dopo il voto alla risoluzione dell’Onu che autorizzava i raid in Libia, «Asso 22» è rimasto nel porto di Tripoli? In quelle ore l’ambasciata italiana aveva deciso di sgomberare la sede e far rientrare tutto il personale. Hanno lasciato la zona anche gli uomini dell’intelligence, il contingente della Guardia di finanza che fino a qualche settimana prima era stato impegnato nei pattugliamenti in mare contro l’immigrazione clandestina, e gli ufficiali di collegamento del Viminale. Mattioli su questo punto afferma: «Quando abbiamo cominciato ad avere idea che la situazione potesse subire una escalation negativa abbiamo chiesto alla nostra compagnia assicuratrice, i Lloyd di Londra, se ci fosse un sovrappremio da pagare. Ci hanno detto che potrebbe esserci un sovrapprezzo, ma non quantificabile e comunque che le nostre navi sono sotto copertura assicurativa» . Possibile che si sia analizzato soltanto l’aspetto economico? Il rimorchiatore era stato affittato dalla società «Mellitah Oil e Gas» a capitale misto italo libico che gestisce la piattaforma dell’Eni a Bouri, in alto mare. Ufficialmente era adibito al trasposto del personale tra il giacimento e il porto di Tripoli, proprio dove è stato sequestrato due giorni fa. E questo ha avvalorato l’ipotesi che gli uomini armati lo avessero preso proprio per compiere un’azione eclatante sulla piattaforma. Eventualità smentita quando — dopo essere arrivato in prossimità dell’impianto — il mezzo ha invertito la rotta. Prima ha puntato verso Tripoli, poi si è spostato in direzione della Tunisia, infine è tornato indietro con un’andatura a zig zag tenuta fino a ieri sera. Senza una meta precisa, senza un chiaro obiettivo. E senza che l’Italia sappia se alla fine sarà chiesta una contropartita per il rilascio degli ostaggi o se questo sequestro sia soltanto un atto ostile per dimostrare la determinazione del regime a compiere vendette contro il nostro Paese.
Fiorenza Sarzanini