Franco Giubilei, La Stampa 20/3/2011, 20 marzo 2011
«IO, TURONE E IL GOL FANTASMA»
Una piovosa domenica di maggio di trent’anni fa, i sogni di scudetto della Roma di Falcao andarono a infrangersi contro la bandierina di un guardalinee. Era il secondo tempo di JuventusRoma, col vecchio stadio Comunale strapieno per l’incontro decisivo di un campionato che vedeva i bianconeri in testa di un punto sulla squadra allenata da Liedholm: verso il 74˚ minuto, veloce azione di rimessa degli ospiti, cross in area, testa di Pruzzo che rimette in mezzo ed ecco avventarsi «Ramon» Turone a inzuccare in rete alle spalle di Zoff. Turone si mette a correre esultando, ma l’arbitro Bergamo vede il suo collaboratore con la bandierina alzata e annulla il gol per fuorigioco, fissando il risultato finale sullo zero a zero.
Nel ricordo del protagonista, il guardalinee bolognese Sancini, in campo le proteste furono abbastanza pacate, mentre i 15mila tifosi della «maggica» che avevano riempito la curva Maratona ripiegarono le bandiere e se ne tornarono a casa senza dare in escandescenze. Invece Biscardi al Processo del Lunedì e i giornali sportivi, specie quelli romani, sollevarono un tale putiferio che quella partita, soprattutto agli occhi dei romanisti, finì per diventare un episodio-simbolo non solo delle ingiustizie subite dalla squadra della capitale, ma anche della sudditanza psicologica delle giacchette nere al cospetto della Vecchia Signora. Saldate insieme, le due circostanze cementarono le fondamenta di una delle antipatie calcistiche più sentite degli Anni Ottanta.
Il responsabile di tutto, Giuliano Sancini, racconta il gol fantasma da dietro al bancone del suo negozio di souvenir in via Indipendenza, a un passo da piazza Maggiore, uno dei più antichi della città (risale al 1694). È qui che lavora da sempre ed è qui, fra statuette delle Due Torri, borse «I love Bologna» e tazzine con lo stemma del Bologna calcio, l’unica squadra per cui abbia mai tifato, che continua a difendere con decisione la sua scelta di allora: «Secondo me il fuorigioco c’era eccome: io ero allineato coi giocatori, ho visto tutta l’azione e ho alzato subito la bandierina. Poi lì è un attimo, ma resto convinto che il gol era irregolare». In seguito l’arbitro Bergamo ha sostenuto che la rete era valida e che lui la annullò per non contraddire il suo assistente, ma Sancini non è affatto d’accordo: «In realtà ha fischiato ancora prima che la palla entrasse in rete, appena ha visto me con la bandierina alzata. Ha cambiato idea solo anni dopo e non so neanche il motivo».
Settant’anni portati benissimo e una gran passione per il calcio, Sancini aveva cominciato ad arbitrare in serie C e poi in B, facendosi le ossa e rischiando di farsele rompere in partite ad altissima tensione come Cosenza-Nocerina del 1977: «Mi telefonò il designatore Ferrari Aggradi e mi avvertì che quella era una polveriera, anche perché il Cosenza era in zona retrocessione. Verso la fine, quando la Nocerina vinceva già 2-0, fischiai un rigore contro il Cosenza e la Nocerina segnò il terzo. Ci fu un’invasione di campo, scappammo di corsa negli spogliatoi e ci barricammo dentro, ma i tifosi armati di mazze riuscirono a sfondare la porta. Non so come ne sono uscito vivo, mi portarono via coperto di sangue, in ambulanza, con la scorta della polizia». Aggiunge che rispetto a quella terribile giornata tutte le polemiche scoppiate dopo Juventus-Roma sono state roba da ridere: «Dopo 181 gare arbitrate in tre anni di serie C e uno di B sono passato in A come guardalinee, erano i tempi delle terne arbitrali fisse e io sono stato due anni e mezzo con l’arbitro Bergamo. L’anno della famosa partita a Torino lui era il numero uno fra i fischietti. E comunque Juve-Roma è stato un incontro tranquillissimo fra due squadre forti, in campo è andato tutto bene, non c’era tensione».
Le sette ammonizioni e l’espulsione dello juventino Furino in realtà sembrano raccontare un’altra partita, dopodiché arriva il gol non-gol di Turone, la fatidica bandierina si leva in cielo e il fischio dell’arbitro ricaccia l’urlo di gioia in gola ai romanisti: «Lì per lì in campo non ci sono state tante contestazioni, per me allora c’era anche più educazione fra i giocatori. Il presidente della Roma Viola mi disse che se non segnalavo il fuorigioco vincevano lo scudetto, ma lo fece in modo civilissimo. Il designatore Aggradi invece mi fece i complimenti. Erano altri tempi, quello era un calcio molto più tranquillo di adesso e noi arbitri non guadagnavamo un soldo: io mi allenavo sul campo del Bologna. Per fortuna non ho mai avuto una Fiat e non mi ha mai telefonato un dirigente di società».
In compenso le polemiche divampano sui giornali e al Processo di Biscardi, dove Sancini viene anche invitato ma ovviamente non va: «C’era in ballo lo scudetto, non potevamo certo partecipare a programmi tv». Nell’82 lascia il calcio per darsi all’hockey su prato: designatore e arbitro internazionale di una disciplina molto meno popolare, almeno in Italia. «In paesi come la Malesia però ho arbitrato anche davanti a 30mila persone». Poi nel giro di qualche anno l’ex guardalinee si prende pure la sua rivincita per il gol annullato alla Roma: «A 90˚ Minuto De Laurentiis mi diede ragione col Telebeam, Turone era in fuorigioco per dieci centimetri». A Roma ci è tornato più di una volta, senza mai avere problemi: «Ci sono andato già un anno dopo la famosa partita e nessuno mi ha detto niente. Sono stati i giornalisti a montare su questa roba, coi tifosi è sempre stato tutto tranquillo». Mica come per quella partita a Cosenza: allora, dopo le botte allo stadio, le minacce di morte lo inseguirono persino a Bologna.