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 2011  marzo 20 Domenica calendario

Libertà e innovazione La sfida della tv privata al monopolio statale - La «questione televisi­va » ha un ruolo di pri­mo piano nella scena culturale e in quella politica

Libertà e innovazione La sfida della tv privata al monopolio statale - La «questione televisi­va » ha un ruolo di pri­mo piano nella scena culturale e in quella politica. Con un’evi­dente impennata a partire dal 1994, anno in cui Sil­vio Berlusconi «scese in cam­po ». La litania è nota: le televisio­ni commerciali, con la loro me­diocrità fatta di consumismo e ossessione per il successo, han­no corrotto gli italiani e prepara­to­il terreno all’ascesa del centro­destra. L’accusa non è nuova e nemmeno originale, visto che, con sfumature solo leggermente diverse,ha accompagnato l’inte­ra storia delle emittenti private (se non proprio quella della tele­­visione stessa). Una storia in real­tà gloriosa, come ricorda il libro di Silvano Esposito: Telebiella e niente fu come prima. Storia del­la prima tv privata italiana (CDG, pagg. 172, euro 16). Tele­biella, creata dall’ex regista Rai Peppo Sacchi, nasce ufficialmen­te il 30 aprile del 1971. Fu registra­ta in tribunale con questo nome: Telebiella A21 Tv. E il particolare non è irrilevante. A21 sta per Arti­colo 21, ed è un richiamo al pas­so della Costituzione in cui si ga­rantisce la libertà d’espressione, all’epoca conculcata dal mono­p­olio statale sulle telecomunica­zioni. Telebiella dunque,fin dal­l’inizio, era una consapevole al­ternativa alla Rai. Poco attratto dagli aspetti commerciali, Sac­chi aveva una linea editoriale che valorizzava il localismo più autentico della provincia italia­na. I programmi erano trasmes­si via cavo per aggirare la legge che consegnava l’etere alla tv di Stato. Nel 1974, il cavo raggiunge­va «gli otto chilometri e circa 500 edifici connessi, per un totale di 2500 potenziali utenti» a cui biso­gna aggiungere i televisori pub­blici collocati lungo le vie dello struscio e in alcuni negozi (il bar­biere, a esempio). Cosa potevano vedere gli affe­zionati telespettatori? Telebiella era indirizzata alla comunità, e la comunità, per la prima volta, prendeva la parola: operai, alun­ni, aspiranti artisti comparivano in programmi quali Videoscuola e Televisione Studio B . In Casella postale 99 e Filo diretto , il condut­tore, lo stesso Sacchi, apriva il mi­crofono agli interventi del pub­blico. Elementi della tv moder­na, sperimentati proprio a Tele­biella. Ma c’erano anche il tele­giornale e l’informazione in di­retta con un occhio di riguardo alla difesa dei diritti dei cittadini. Nel corso degli anni, fra il 1971 e il 1976 collaborarono personag­gi come Enzo Tortora, Bruno Lauzi, Cino Tortorella, Memo Remigi, Ugo Zatterin, Daniele Piombi, Anna Maria Rizzoli, Fe­bo Conti, Mario Soldati. E il talen­to comico di Ezio Greggio fu te­nuto a battesimo televisivo pro­prio da Sacchi. Nel giugno 1973 l’emittente fu oscurata dal governo Andreotti. Sacchi fece ricorso alla Corte co­stituzionale, ottenendo una par­ziale ma importante vittoria. Fu l’inizio di una battaglia che por­tò, nel 1976, alla prima vera pic­conata del monopolio statale, anche se per una legge di siste­ma si dovrà attendere il 1990. In mezzo, c’è l’ascesa delle tv loca­li, e poi del network berlusconia­no. Dopo, le polemiche che ben conosciamo e chi volesse docu­mentarsi su questi anni può far­lo recuperando La guerra dei trent’anni. Politica e televisione in Italia 1975-2008 di Franco De­benedetti e Antonio Pilati, edito da Einaudi. Perché questa avventura, con qualche precedente nel Sud e a Torino, prese piede a Biella fino a diventare un caso nazionale? Biella, secondo Esposito, aveva le caratteristiche giuste. Provin­cia ricca e lontana dal dominio torinese automobilistico, con un polo industriale alternativo (il tessile) di nicchia ma sviluppa­to. Imprenditori pronti a investi­re, almeno inizialmente. E una diffusa ideologia anti-monopoli­­stica: il biellese era una storica roccaforte del Partito liberale «malagodiano». Erano gli ingredienti necessari per accendere la miccia. La tele­visione privata e commerciale scoprirà di lì a poco un mondo con gusti e relativi consumi nuo­vi; e un diverso tipo di imprendi­­tore, estraneo alle grandi fami­glie del capitalismo italiano, ca­pace di interpretarli e soddisfar­li. È il mondo della moda, del de­sign, della pubblicità, del made in italy che darà vita, negli anni Ottanta, a un piccolo boom eco­nomico modernizzando il Pae­se, chiedendo libero accesso ai mezzi di comunicazione e scon­trandosi con la dominante men­talità statalista. Quest’ultima, in campo televisivo, predicava il pluralismo all’interno del mono­polio e non attraverso il merca­to. Una ricetta che ha portato al­la selvaggia lottizzazione politi­ca dei canali Rai.