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 2011  marzo 20 Domenica calendario

OLTRE L’UMANITARISMO C’È IL NOSTRO INTERESSE

Umanitarismo, quan­ti delitti si commet­tono in tuo nome. Peggio: quanti erro­ri. Guardate il caso della Li­bia di Gheddafi, ora al cen­tro di una tempesta diplo­matica e militare con l’Ita­lia in prima linea. Una fred­da e razionale analisi politi­c­a suggeriva da subito un’al­ternativa secca: la minaccia di un intervento rapido e ri­solutivo per abbattere il raìs, con il dispiegamento della forza militare, oppure l’esplicita dichiarazione di astensione da ogni interfe­renza. Nel primo caso sareb­be stato drammaticamente indebolito Gheddafi, che poteva cadere dall’interno. Nel secondo, si sarebbe im­pedito che la rivolta nutris­se le­illusioni che hanno por­tato alla presa di Bengasi. In­vece si è deciso di interveni­re male e tardi, a guerra civi­le dispiegata. E di interveni­re con molti caveat o condi­zioni, che rendono proble­matica l’efficacia dell’azio­ne. Niente truppe di terra, una no fly zone di cui è diffi­cile definire gli obiettivi, l’obiettivo limitato della protezione dei civili dal­l’av­anzata della controffen­siva di Tripoli contro la ribel­lione della Cirenaica.
Con il “guerrafondaio” Bush, a un mese dall’11 set­tembre il regime talebano protettore di Osama Bin La­den non esisteva più, e il ca­po del terrorismo interna­zionale aveva trovato rifu­gio in una caverna da cui dieci anni dopo non è anco­ra uscito. Con Obama, “l’umanitario”, a quasi tre mesi dall’inizio dei sommo­vimenti in Medio Oriente, con la rivolta del pane in Tu­nisia ( 8 gennaio),l’Occiden­te brancola nel buio e si im­barca in un’impresa legitti­mata dalle circostanze ma politicamente dubbia, sen­za prospettive certe, piena di ambiguità.
L’umanitarismo non è so­lo una edificante visione del mondo, è una maschera ideologica. Costringe al­l’inazione, mette i governi in mano a un’idea equivoca di ciò che vuole davvero l’opinione pubblica, dilata i tempi delle decisioni crucia­li e li affida alla ambigua re­te di consenso del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, un organismo fonda­to sul diritto di veto dei suoi membri permanenti. La po­litica realista è nella storia l’unico motore di pacifica­zione, ed è fondata sulla conciliazione e convergen­za di interessi nazionali o globali incarnati dall’inizia­tiva di stati e co­alizioni allea­te che sanno quello che fan­no, che sanno fare fino in fondo quello che fanno, e che agiscono per scopi responsabili, con un uso proporzionato della forza.
Nel 1991 una vasta coalizione occidentale e araba, con Bush padre e Colin Powell, scacciò Saddam Hussein dal Kuwait, che il dittatore di Bagdad aveva invaso, e lo condannò alla prigionia in casa sua fino alla cacciata del 2003. Nel 1995 f u il bombardamento della Nato contro i serbi che martoriavano Sarajevo a rendere possibili gli accordi di Dayton e la fine delle sanguinose guerre balcaniche. La guerra del Kosovo del 1999 portò, senza alcuna autorizzazione delle Nazioni Unite, alla fine del regno nazional-comunista di Slobodan Milosevic, fattore di tragica destabilizzazione del sud est europeo. L’attendismo umanitario non ha mai prodotto niente d i buono: basti pensare a l Darfur o, prima, al Ruanda, due luoghi di sterminio che hanno dovuto fare amaramente i conti con le chiacchiere lacrimevoli e umanitarie dello star-system e la riluttanza della comunità internazionale ad assumere su di sé il peso dei propri interessi regionali e globali.
Le guerre di stabilizzazione contro gli Stati falliti o gli Stati canaglia portano lutti, esigono tempra e sangue freddo, ma le vittorie portano stabilità e pace, e proteggono i diritti umani conculcati dalla furia della storia. Il nulla compassionevole, risvolto moraleggiante di uno spudorato cinismo sentimentale, è invece il risultato dei discorsi alati, delle mani tese, delle grandi sfilate arcobaleno, delle infinite prove di debolezza verso i prepotenti di cui è autore l’umanitarismo. Le truppe olandesi inquadrate nell’Onu e impacciate dalla sua ideologia pacifista e umanitaria, nel luglio del 1995 si astennero dall’intervenire a tempo, e assistettero inerti a uno dei più atroci massacri della storia europea, lo scannamento di migliaia di musulmani di Bosnia da parte delle truppe serbo-bosniache.
Se questo è vero, adesso per l’Italia di govern o e d i opposizione è il momento d i partecipare impegnativamente all’impresa europea e americana decisa con un grottesco ritardo, ma con grande attenzione agli interessi italiani coinvolti nell’operazione: specialmente interessi di sicurezza militare ed energetica, e di protezione dei confini da incontrollate ondate migratorie. Senza mai dimenticare, nonostante le pittoresche deformazioni del sistema dei media e il bailamme fazioso in cui il Paese è immerso, che con gli accordi del 2008, stipulati con il colonnello Gheddafi titolare d i u n legittimo potere a Tripoli, abbiamo doverosamente chiuso un doloroso e secolare contenzioso coloniale. Le effervescenze di Sarkozy, che come h a ricordato Sergio Roman o aveva fino a d ora sbagliato l a politica mediterranea e araba della Francia, possono e devono essere temperate d a una nostra capacità d i recupero e d i mediazione della pachidermica m a non incomprensibile riluttanza della Germania a d imbarcarsi per l a Cirenaica. E che l a Fortuna assista l e strategie militari di eserciti e Stati occidentali spesso pronti a cadere nella trappola ideologica dell’umanitarismo.