ANGELO AQUARO , la Repubblica Affari&Finanza 21/3/2011, 21 marzo 2011
HUFFINGTONAOL ARRIVA STONE, L’UOMO CHIAMATO BUSINESS
Altro che 140 caratteri. Ci vorrebbe una Bibbia intera per raccontare le vessazioni del cofondatore di Twitter. «Ehi, Biz, il tuo nome significa Business, ma com’è che che Twitter non riesce ancora a fare un soldo?», gli chiedono continuamente.
Risposta di Biz Stone: «Il nostro business si chiama valore, per ora siamo concentrati su quello. Vedrete che poi...».
Non è finita. «Ehi, Stone gli hanno chiesto ci parli di futuro, ma perfino il tuo cognome rimanda all’età della pietra». E lui: «Se faccio un figlio giuro che lo chiamo Flint: Flint Stone». Come i cartoon degli Antenati. A scrollarlo ci ha provato perfino la penna più acida del New York Times, Maureen Dowd: «Dici che la brevità sviluppa la creatività. A me i messaggi di Twitter sembrano telegrammi senza notizia che la gente utilizza per sparpagliare stupidità: c’è almeno un pensiero che non vorresti mai veder pubblicato?». «Sì: quello che sto pensando proprio in questo momento... ».
Beh, magari è più interessante scoprire che cosa pensava quando la sua creatura da 10 miliardi di dollari era ancora nel mondo iperuranio e lui era solo un blogger più o meno felice e sicuramente sconosciuto. «24 dicembre 2000, ore 7.34 del mattino. Questa notte ho sognato di essere un superricco. Stavo mostrando a pochi amici il gigantesco complesso della mia abitazione...». Mica male i sogni d’oro del ragazzo che adesso Arianna Huffington ha chiamato a occuparsi di «social impact» nel suo sito rinato sotto le insegne del colosso Aol. Perché ci crediate o no l’uomo chiamato Business è davvero l’ultima incarnazione del mito del superricco declinato nell’America post recessione: il ricco filantropo.
Per carità: la storia del capitalismo made in Usa è costellata di padroni delle ferriere trasformatisi in benefattori. Da Andrew Carnegie a John Rockfeller e JP Morgan lunga è la lista dei «capitani di industria» che per farsi perdonare le ricchezze accumulate sul sangue degli ultimi si sono ferventemente dedicati al «giving back» come qui mica per niente si chiama l’arte del donare: con un verbo che sarebbe meglio tradurre con «restituire». E la tradizione arrivata ai giorni nostri fino a Bill Gates. Ma il caso di Biz è diverso. Il ragazzo di Wellesley, Massachusetts, sostiene che i ricchi dovrebbero dare «mentre» si arricchiscono: non dopo. Questo filosofo senza laurea, il cui unico legame con i professoroni di Berkeley è la residenza, visto che sverna anche lui da quelle parti, propugna una rivoluzione il cui slogan occupa molto ma molto meno spazio dei 140 caratteri disponibili sulla sua invenzione: arricchimento sostenibile.
«Dagli inizi di Twitter» spiega «abbiamo stretto legami con associazioni benefiche. Prima ancora che avessimo un ufficio vendite avevamo un ‘social innovation team’». Il social di cui parla non è soltanto il network: è quello che noi chiamiamo con una parola passata di moda «impegno sociale». Certo, anche Biz ha costruito con la moglie Livia la sua bella fondazione. Ma è nell’azione quotidiana di un’impresa che si esercita il «giving back». Come? Questo è un altro fior di problema. Perché come ogni grande innovatore il buon Biz esplora un mare aperto. E alla fine come riuscirà a trasformare il capitalismo compassionevole forse non lo sa neppure lui: «Mi piacerebbe aiutare le aziende a sviluppare un senso della loro impresa riassunto da parametri più significativi».
Wow. Sicuramente significativi sono i parametri con cui Aol e Huffington Post sono riusciti a farlo distrarre da Twitter: l’uomo chiamato Business avrebbe accettato l’offerta in cambio di un bel po’ di stock options. Così il mondo di Internet è insorto: l’assunzione di Mister Stone è arrivata proprio mentre il supergruppo licenziava un migliaio di persone e rientra mica, il taglio di personale, nei «parametri più significativi» vagheggiati da Biz?
Il discorso è più complesso. Gli stessi dipendenti di Arianna che un minuto prima promettevano barricate sui tagli sono oggi orgogliosamente fieri di sbandierare a tutta l’America la loro mesata di «Giving Back». «Per dare il via alla prima settimana ufficiale del nuovo Huffington Post» scrive Arianna «abbiamo deciso di lanciare tra i nostri dipendenti la sfida ‘Trenta Giorni di Servizio’». E come?
«Incoraggiandoli a trovare il modo di donare qualcosa alle loro comunità». Volontariato, assistenza alle famiglie. Il ruolo di Biz sarà adesso di trovare nuove «soluzioni creative». Videoclip su Youtube. Convention con le aziende. Ci riuscirà?
La testa di Mister Stone è dura quanto la pietra del suo nome. Quando con Evan Williams lanciò Twitter, i soliti scettici liquidarono quell’invenzione come l’ennesima moda passeggera partorita da due ragazzoni che avrebbero fatto meglio a pascolare nel Googleplex che li aveva assunti. C’è la email, e ci sono i messaggini del telefono. Che cosa se ne sarebbe mai fatto il mondo di Twitter? Due anni dopo proprio Google bussava alla porta dei transfughi: questi sono mezzo miliardi di dollari e voi riportate l’invenzione a casa. I ragazzi risposero: no grazie.
Il Boston Globe corse a intervistare quel figlio del Massachusetts che stava gettando via una fortuna: «Non era meglio prendere i soldi e scappare?». E Biz col suo solito mantra: «Credo saremo capaci di dimostrare un bel po’ di cosette. Noi puntiamo a una sintesi di sostenibilità e ricavi». Saranno anche belle parole ma non solo oggi ha ragione lui e quella compagnia che Larry Page e Sergey Brin volevano portarsi via per pochi spiccioli vale almeno 7 miliardi di dollari.
La verità è che con una valutazione che sul mercato secondario quello cioè delle società non ancora quotate a Wall Street schizza fino a 10 miliardi oggi Twitter è considerato il «barometro» della nuova temibile bolla hitech: che rischia di esplodere da un momento all’altro.
Finirà davvero così? Intanto il buon Biz alcune risposte ha incominciato a trovarle. Oggi, per esempio, sa che cosa sta trasformando quella bizzarra invenzione raffigurata da un cinguettio non è la forma di comunicazione più concisa: «cip»? in una macchina da miliardi. La prima società a cedere fu JetBlue. «Che cosa volete dalla vostra azienda?» provò a buttare giù il gestore nel suo primo messaggino. Apriti davvero cielo: la compagnia aerea fu assalita da milioni di twitters. Sì, la potenza di un marchio oggi potresti misurarla così: quanti «followers» hai. Quanto pubblico hai su Twitter. Ma il ragazzo che sognava di diventare ricco mischiando internet e telefonino ha trovato adesso anche un altro modo per riuscirci. «Mettiamo che Starbucks abbia un milione di followers e voglia arrivare a quota 10 milioni. Compra parole chiave come ‘caffè’ o ‘latte’ e il pubblico che già segue quelle parole si troverà a seguire anche Starbukcs». E lui incassa.
Le parole chiave sono i «tag». Quelle che ti segnalano appunto i «discorsi» fatti sulla microrete. Perché alla fine anche Twitter — come Facebook — non è che la continuazione del blog con altri mezzi.
Il giovane Stone nasce proprio così: come blogger. Sull’arte del blog ha scritto anzi due brevi guide che su Amazon vendono ancora bene. Il paradosso è che proprio Facebook e Twitter stanno uccidendo i blog: chi si appassiona più alle lunghe farneticazioni web? Non è più comodo un messaggino e via? E naturalmente anche questo viene rinfacciato a Biz: di avere ucciso il discorso web. Per rimpiazzarlo di quei Tweet che nelle mani di divi e rockstar sono diventati veri distributori di futilità. O no?
Ecco, è qui che Mister Stone si arrabbia davvero. Chiedetelo a Malcom Gladwell. L’autore del «Punto Critico: i grandi effetti dei piccoli cambiamenti» aveva negato sul «New Yorker» che i cambiamenti del piccolo Twitter avessero grandi effetti: «E solo moda». Biz gli ha risposto dall’alto di «Atlantic»: «Ma se Twitter è usato perfino dai dissidenti cinesi!». Che volete: anche qui la storia gli ha dato ragione. E proprio grazie a Twitter e Facebook che i giovani di mezzo Medio Oriente sono riusciti a far cadere l’ultimo muro.
E così verrebbe quasi da credergli quando sostiene che vincerà anche l’altra scommessa: quella del capitalismo sostenibile, quella di convertire le corporation al «Giving Back», a restituire quello che prendono. Solo allora Biz Stone riuscirà finalmente a farsi perdonare quel primo Tweet che il socio Evan Williams gli spedì in quel tiepido pomeriggio californiano del 2006: «Sto sorseggiando un Pinot Noir dopo un bel massaggio qui nella Napa Valley.... «. Centoquaranta caratteri di insostenibile futilità.