Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 20 Domenica calendario

C´ERA UNA VOLTA IL LUCE

«Vecchie, grottesche e commoventi». In questo modo, quasi di sfuggita, designò le immagini dei cinegiornali Luce un personaggio e uno studioso che sempre più ci manca, Beniamino Placido; e in quei suoi tre aggettivi è racchiuso il tesoro di una immane documentazione che si offre allo sguardo nel suo valore intimo e universale, civettuolo e grave come di solito è la visione della Storia. L´Italia aggressiva e stentorea del fascismo, che nel cinema vide «l´arma più potente». Chissà cosa avrebbe pensato Guy Debord, profeta e teorico della società dello spettacolo, dinanzi a quelle parate e mascherate in bianco e nero, i discorsi del Duce, le esercitazioni della Milizia, i primi piani dei Balilla, le sequenze dei gerarchi fatti saltare nel cerchio di fuoco o sulle baionette. Nulla o quasi di militaresco venne risparmiato, nel buio delle sale, alle masse in via di accentuata nazionalizzazione. Nulla più del Luce, d´altra parte, illuminò il cuore del regime. Per un soffio non furono proiettate le immagini di Mussolini che a tal punto si lasciò trasportare dalla visione della prima sfilata con il passo romano da buttarsi nell´ampio stradone, via dell´Impero.
E lì cominciò anche lui a passeggiare a gambe irrigidite, un-dué, un-dué, mentre sullo schermo era prevista la voce metallica dello speaker: «Il Duce stesso ha voluto mettersi alla testa dei militi, marcando il nuovo passo e apparendo così alla folla addensata per acclamarlo con il più vibrante entusiasmo». Ma a parte le casuali omissioni, per anni prima del film gli italiani dovettero sorbirsi la vista di mense popolari, raduni di massaie rurali, gestanti dell´Onmi, gite del Dopolavoro, bimbi felici nelle Colonie Marine; ma soprattutto li soggiogò lo spettacolo di lui, lui aviatore, lui schermidore, lui in visita al set di Scipione l´Africano, lui a torso nudo per la battaglia del grano: «Con movimento rapido e sicuro - sentivano recitare dalla solita voce assertiva - Egli introduce i mannelli nella vorace bocca della trebbia. Su di Lui sono tutti gli sguardi ammirati» - avendo Egli «muscoli d´acciaio come la volontà».
In un bel ricordo, oltre a scrivere di non aver mai più sentito nominare questi fantomatici «mannelli», Nello Ajello ha raccontato che i più disincantati fra gli spettatori escogitavano vari sistemi per saltare il cinegiornale e vedersi il film in pace, al che gli astuti gerarchi glielo piazzavano tra il primo e il secondo tempo. Eppure, a vedere bene, da quelle «grottesche» immagini si sarebbe comunque potuto capire che l´Italia non poteva che incamminarsi a passo di parata, appunto, verso il disastro sfracello della guerra. E questo perché nel visivo riposa e al tempo stesso si agita l´immaginario di un popolo; e in quest´ultimo, a sua volta, tra segni, simboli, relazioni e costellazioni in qualche modo si riesce perfino a leggere, come nell´arte, il futuro. Per cui l´immaginario del Luce (a tutt´oggi lodevolmente consultabile on line, www.archivioluce.com, e quando non visibile sostituito da ottime schede) finisce per configurarsi come un meraviglioso giacimento di ideologie, vizi, virtù, contraddizioni, e arti, tecniche, persone, costume, cronaca, economia, spettacoli, passatempi. Come dire: un eccezionale deposito di senso storico.
E si arriva così, dopo il fascismo, alle immagini che Beniamino Placido designava «commoventi». Giacché l´Italia dei cinegiornali, nel frattempo, ha fatto il pieno di dolore, ma poi anche di speranze. È cambiato il nome, ora c´è la Settimana Incom a dare il senso epocale della Ricostruzione; e se i filmati del dopoguerra cominciano con gli aiuti americani che placano la fame, ecco che dopo partono i paesaggi dei grandi lavori, le gru, gli sbancamenti, gli operai impegnati attorno ai camion, le prime realizzazioni, qualcosa di più del ritorno alla normalità. Presto nelle sale si cominceranno anche a vedere dei sorrisi, sugli schermi prende vita e forma un´umile Italia che non soltanto è riuscita a riprendersi, ma vuole pure divertirsi. La voce che accompagna la trasformazione si è fatta complice, a tratti ironica, incoraggiante, e una musica tenue gli fa da contrappunto.
Gli italiani paiono cambiati anche fisicamente, più pettinati, più rotondi, le donne più curate, eleganti. Ecco i primi divi, vengono dall´America, insieme con le vacanze, le invenzioni, la moda, le vittorie sportive, Mattei, l´Alitalia. I ministri democristiani inaugurano, tagliano nastri, al loro fianco si vedono monsignori, maestranze che applaudono e bimbi in costume. È lo spettacolo del benessere che fa tenerezza e commuove chi c´era. Chi non c´era è oggi autorizzato a pensare che, se esistessero ancora, gli odierni cinegiornali assomiglierebbero senz´altro a Striscia la notizia.