PHILIPPE PONS , la Repubblica 20/3/2011, 20 marzo 2011
TSU NAMI
Intervista al premio Nobel della letteratura, coscienza del Giappone: lo scrittore ricorda il dovere di restare fedeli alla memoria dei morti e alla dignità dell´uomo.
Qual è secondo lei il significato del disastro che sta vivendo il Giappone nella storia moderna?
«Da alcuni giorni i quotidiani giapponesi non fanno altro che parlare del disastro che stiamo vivendo, e il caso ha voluto che un mio articolo, scritto alla vigilia del sisma, sia stato pubblicato nell´edizione della sera del quotidiano Asahi, il 15 marzo. In quell´articolo evocavo la vita di un pescatore della mia generazione che era stato colpito dalle radiazioni in occasione del test della bomba all´idrogeno nell´atollo di Bikini. L´avevo incontrato a diciott´anni. Quest´uomo passò il resto della sua vita a denunciare l´inganno del mito della forza di dissuasione nucleare e l´arroganza di coloro che ne cantano le lodi. Chissà che non sia stato un cupo presagio a spingermi a evocare questo pescatore proprio alla vigilia della catastrofe. Quest´uomo infatti aveva lottato anche contro le centrali nucleari, denunciando i rischi che presentavano. Accarezzo da molto tempo il progetto di ripercorrere la storia contemporanea del Giappone prendendo come riferimento tre gruppi di persone: i morti dei bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki, i contaminati di Bikini, di cui questo pescatore era uno dei sopravvissuti, e le vittime delle esplosioni nelle installazioni nucleari. Se si guarda alla storia del Giappone con gli occhi di quei morti, vittime del nucleare, la loro tragedia diventa un´evidenza. Oggi constatiamo che il rischio delle centrali nucleari è diventato una realtà. Qualunque sia l´esito del disastro a cui stiamo assistendo - e con tutto il rispetto che provo per gli sforzi umani messi in campo per contenerlo - il suo significato è inequivocabile: la storia del Giappone è entrata in una nuova fase, e una volta di più siamo sotto lo sguardo delle vittime del nucleare, di quegli uomini e di quelle donne che hanno dato prova di grande coraggio nella loro sofferenza. L´insegnamento che si potrà trarre dal disastro in corso dipenderà dalla risolutezza di coloro che avranno la fortuna di vivere e non ripetere gli stessi errori».
Questo disastro coniuga in modo drammatico due fenomeni: la vulnerabilità del Giappone rispetto ai terremoti e il rischio legato al nucleare. Con il primo il Paese fa i conti dalla notte dei tempi. Il secondo, che rischia di essere ancora più catastrofico, è opera dell´uomo. Che cosa ha imparato il Giappone da Hiroshima?
«Il grande insegnamento che dobbiamo trarre dal dramma di Hiroshima è la dignità dell´uomo, delle persone che morirono sul colpo e di quelle che sopravvissero, colpite nella carne, e che per anni dovettero sopportare una sofferenza estrema, che spero di essere riuscito a trasmettere in alcune delle mie opere».
«i giapponesi, che hanno fatto l´esperienza del fuoco atomico, non devono concepire l´energia nucleare sotto il profilo della produttività industriale, non devono cercare di tirar fuori dalla tragica esperienza di Hiroshima una "ricetta" per la crescita. Come nel caso dei terremoti, degli tsunami e di altre catastrofi naturali, l´esperienza di Hiroshima dev´essere incisa nella memoria dell´umanità: è una catastrofe ancora più drammatica dei disastri naturali, perché dovuta alla mano dell´uomo. Commettere di nuovo lo stesso crimine, dare prova, con le centrali nucleari, dello stesso disinteresse per la vita umana, è il tradimento peggiore che si possa fare alla memoria delle vittime di Hiroshima. Il pescatore di Bikini di cui ho parlato prima non ha mai smesso di pretendere l´abolizione delle centrali nucleari. Una delle grandi figure del pensiero giapponese contemporaneo, Shuichi Kato (1919-2008), evocando le bombe atomiche e le centrali nucleari di cui l´uomo perde il controllo, ricordava la celebre espressione di un´opera classica, Le note del guanciale, scritto mille anni fa da una donna, Sei Shonagon. L´autore evoca qualcosa che sembra molto lontano, ma che in realtà è vicinissimo. Un disastro nucleare sembra un´ipotesi lontana, improbabile, eppure è sempre tra noi».
Lei aveva intitolato il discorso per la cerimonia di assegnazione del Nobel per la letteratura, nel 1994: Io, di un Giappone ambiguo. La formula del «Giappone ambiguo» è applicabile agli eventi odierni?
«Quello che sta succedendo non ha fatto che rafforzare l´ambiguità del Giappone che sottolineavo allora. In questo momento, questo Giappone ambiguo nei valori che difende è completamente bloccato, si trova in un´impasse. Il contrario dell´ambiguità è la chiarezza. Quando ho parlato del Giappone ambiguo, nel 1994, il mio Paese era ancora in uno stato di grazia, un tempo sospeso che gli consentiva di differire il momento delle scelte e degli orientamenti chiari: in altri termini, poteva permettersi il lusso di restare nel vago. E il Giappone pensava che questo rinvio sine die delle sue scelte fosse accettato dagli altri Paesi. In questo modo non si faceva carico né della sua storia né delle sue responsabilità nel mondo contemporaneo. Pensando di potersi permettere questa mancanza di chiarezza sul piano politico, i giapponesi hanno mostrato lo stesso atteggiamento in campo economico, adottando un modello di sviluppo che non sapevano bene dove li avrebbe condotti. E una conseguenza fu la bolla finanziaria dell´inizio degli anni Novanta. Oggi il Giappone deve chiarire la sua posizione. La Cina lo costringe ad assumersi le sue responsabilità nei confronti del resto dell´Asia, e gli abitanti di Okinawa, dove si trova la più grande concentrazione di basi militari americane dell´Arcipelago, attendono un orientamento chiaro da parte del Governo sulla presenza delle truppe statunitensi dispiegate sul loro territorio. Okinawa base militare americana: questa situazione non è più accettabile, né per i giapponesi né per gli americani. È arrivato il momento di ridefinire il ruolo delle basi. Questo atteggiamento ondivago non è più possibile, perché i sopravvissuti delle vittime della guerra a Okinawa esigono una posizione chiara da parte del Governo. Il periodo di grazia in cui il Giappone rimandava il momento delle scelte e delle decisioni ormai è finito».
Dopo più di sessant´anni dalla sconfitta, il Giappone sembra aver dimenticato gli impegni che aveva preso allora: pacifismo costituzionale, rinuncia all´uso della forza, i tre principi antinucleari. Lei pensa che il disastro attuale risveglierà una coscienza contestatrice?
«Al momento della sconfitta del Giappone avevo dieci anni. Un anno dopo fu promulgata la nuova Costituzione, e contemporaneamente fu adottata la legge quadro sull´istruzione nazionale, una sorta di riformulazione in termini più semplici dei grandi principi della Costituzione, più comprensibile per i bambini. Nel corso dei dieci anni seguiti alla sconfitta militare mi sono sempre domandato se il pacifismo costituzionale, di cui la rinuncia all´uso della forza è uno degli elementi, e poi i tre principi antinucleari (non detenere, non fabbricare e non utilizzare armi atomiche) traducessero adeguatamente gli ideali fondamentali del Giappone del dopoguerra. Se io che ero allora adolescente nutrivo dei dubbi, a maggior ragione penso che li nutrissero gli adulti. E infatti il Giappone ha progressivamente ricostituito un esercito, mentre gli accordi segreti con gli Stati Uniti hanno consentito di introdurre armi atomiche nell´Arcipelago, svuotando di significato i tre principi antinucleari proclamati ufficialmente. Tutto questo non significa che gli ideali degli uomini del dopoguerra fossero stati messi in disparte. I giapponesi avevano conservato la memoria delle sofferenze del conflitto e dei bombardamenti nucleari. Lo sguardo dei morti ci impegnava a rispettare quegli ideali. Il ricordo delle vittime di Hiroshima e di Nagasaki ci ha impedito di relativizzare la natura perniciosa delle armi atomiche in nome del realismo politico. Noi siamo contrari alle armi nucleari. E allo stesso tempo accettiamo il riarmo di fatto e l´alleanza militare con gli Stati Uniti. È qui che sta tutta l´ambiguità del Giappone contemporaneo. Nel corso degli anni questa ambiguità, frutto del pacifismo costituzionale, del riarmo e dell´alleanza militare con gli Stati Uniti, non ha fatto altro che rafforzarsi, perché non avevamo dato nessun contenuto preciso ai nostri impegni pacifisti. La totale fiducia dei giapponesi nell´efficacia della forza di dissuasione americana ha consentito di fare dell´ambiguità della posizione del Giappone (paese pacifista sotto l´ombrello militare americano) l´asse della sua diplomazia. Una fiducia nella forza di dissuasione americana che andava al di là delle divisioni politiche, riaffermata dal primo ministro democratico Yukio Hatoyama in occasione dell´anniversario, nell´agosto del 2010, del bombardamento atomico su Hiroshima, mentre il rappresentante americano aveva preferito sottolineare nel suo discorso i pericolo di quest´arma. Possiamo sperare che l´incidente alla centrale di Fukushima permetterà ai giapponesi di tornare a provare i sentimenti delle vittime di Hiroshima e Nagasaki e riconoscere il pericolo del nucleare, di cui ancora una volta abbiamo sotto gli occhi un tragico esempio, mettendo fine all´illusione dell´efficacia dissuasiva sostenuta dalle potenze atomiche».
Uno dei suoi libri si intitola Insegnaci a superare la nostra pazzia. Se dovesse rispondere oggi a questa esortazione, che cosa direbbe?
«Ho scritto quel libro quando raggiunsi l´età che si definisce matura. Ora sono in quella che viene chiamata la terza età, e scrivo un "ultimo romanzo". Se riuscirò a sopravvivere a questa follia attuale, il libro che porterò a termine comincerà con una citazione dell´Inferno di Dante: "E alfine uscimmo a riveder le stelle"».
Traduzione di Fabio Galimberti
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