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 2011  marzo 20 Domenica calendario

TORNIAMO NEMICI 100 ANNI DOPO

Potenza degli anniversari: giusto cent´anni fa la guerra di Libia. E sembra anche di avvertire qualche assonanza di troppo.
Geopolitica e non solo. «Giolitti sente poco la politica estera, ma esiste un´Italia malata d´Africa da quando la Francia s´è presa la Tunisia». Così ricostruisce la situazione Franco Cordero nel suo recentissimo commento al Discorso di Leopardi sopra lo stato presente dei costumi degl´italiani (Bollati Boringhieri): «L´affare libico pare comodo: nihil obstat dalle Potenze; i turchi sloggeranno dopo quattro cannonate. L´opinione pubblica chiede Tripoli e lui l´asseconda malvolentieri…».
Era la fine di settembre del 1911. Fattori emotivi e considerazioni di prestigio spinsero principalmente l´Italia a mettere da parte l´idea di una penetrazione economica per intraprendere quell´impresa militare. Ma a chi voglia ulteriormente abbandonarsi alla gravosa fatalità delle ricorrenze si fa notare, con Denis Mac Smith, che per degnamente celebrare il 50° anniversario dell´unificazione la conquista della Libia, coronamento del Risorgimento, «avrebbe dimostrato come gli italiani meritassero di essere diventati una nazione».
Ora, Giolitti e Berlusca hanno davvero troppo poco in comune per consentire vani giochetti storici. Ma a parte le motivazioni fatte valere un secolo fa, una specie di diritto di proprietà risalente ai fasti dell´impero romano, come pure il sogno di un Eldorado a portata di mano sulla "quarta sponda", con relative leggende a base di chicchi di grano grossi come mandarini, la guerra non fu per niente una passeggiata. E non solo perché un pezzo di paese era contrario, da Salvemini, l´unico a sapere che si trattava in realtà di «uno scatolone di sabbia», a Treves e Turati, fino a Nenni e Mussolini che finirono in galera.
Se D´Annunzio cantò la gioia della conquista "d´Oltremare" e se l´isterico nazionalismo dei futuristi ebbe il suo agognato sfogo, la verità storica è «la Libia abbisognava di capitali - come scrive Mac Smith - ma l´Italia non ne aveva a sufficienza nemmeno per se stessa». Disse poi Giolitti che l´impresa era costata 512 milioni. Lo contraddisse in Parlamento Sonnino sostenendo che il bilancio era stato falsificato e che il costo effettivo della guerra era stato almeno doppio.
Brusco ritorno al presente, con legittima e conseguente preoccupazione per il futuro. Perché ciò che davvero atterrisce, ben oltre il fatale rincorrersi dei numeri e delle loro commemorazioni, è la velocità con cui ciò che vistosamente è andato in scena si va oggi rovesciando nel suo esatto contrario. I cammelli in regalo, il Cavaliere sotto la tenda che mostrava le foto del nipotino al Colonnello, l´autostrada promessa, lo "storico" trattato che addirittura privilegiava la Libia agli impegni della Nato, quel bacio della mano. Come se l´ostentata amicizia rivelasse di colpo la sua più spudorata falsità.
Non che i democristiani facessero poi una politica così diversa. Non Andreotti, a cui Gheddafi si offrì di pagare l´avvocato per i processi di mafia; non Craxi, che chiamava Gheddafi "Capitan Fracassa", ma gli salvò la pelle avvertendolo dell´attacco americano nell´aprile del 1986. Si sa. C´entrano il petrolio, gli affari e adesso anche le carrette del mare con i disperati. È ovvio che l´Italia doveva tenerselo buono, quel tipo lì, come infatti se lo tennero buono l´Avvocato Agnelli, Prodi o D´Alema, che andò a Tripoli a riprendersi certi bambini di genitori italo-libici in lite, e a cui fu regalata una scimitarra berbera, chissà che fine ha fatto.
E però, diamine: non sono passati nemmeno sette mesi dall´ultima visita del Colonnello a Roma e oggi la memoria si affolla di ricordi che risultano ancora più stranianti di quanto già sembrassero allora. Sogni, miraggi, fotogrammi di cinepanettone. La tenda di Gheddafi a villa Pamphili; il pranzo dal "Bolognese" con assaggiatore fisso ai fornelli; gli sguardi golosi sulle amazzoni, pure dotate di pendaglio con ritratto del Raiss al collo; il torneo equestre con i cavalieri berberi e i carabinieri a villa Borghese. Quindi Berlusconi che alla mostra sul colonialismo arrivò addirittura a commuoversi, ma poi durante l´interminabile concione del leader libico si mise a dormire. Per non dire dei torpedoni carichi di ragazze romane che il capriccioso tiranno volle mostrare ai telespettatori libici: ben 530 ne arruolò l´agenzia Hostessweb, comprese tre convertite all´Islam e una giovane giornalista che si finse velina interessata alla rivoluzione verde per scriverne un resoconto per Repubblica.
E ora all´improvviso la guerra. Le basi militari. I Tornado "pronti in 15 minuti". Il cacciatorpediniere "Andrea Doria" nel canale di Sicilia. Già una volta, di recente, il ministro La Russa ha esibito fregole dannunziane: "S´ode nel cielo un sibilo di frombe./ Passa nel cielo un pallido avvoltoio…/ Italia, alla riscossa, alla riscossa!". Mentre Berlusconi, con provvido tempismo, si è limitato a raccontare a Ruby che quel certo rito sessuale - vedi, vedi - glielo aveva insegnato proprio Gheddafi. Tutto dunque si tiene a questo mondo, da Giolitti al bunga bunga, e tutto speriamo davvero che non si sconquassi.