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 2011  marzo 21 Lunedì calendario

SUBITO RAGGIUNTI GLI OBIETTIVI PREFISSATI

IL MINISTRO della difesa britannico e il Capo di Stato Maggiore americano hanno dichiarato che le forze della coalizione hanno raggiunto nel primo giorno di bombardamenti sulla Libia gli obiettivi prefissati. Il centinaio di missili cruise lanciati dai tre sottomarini e dalle due fregate degli USA e dai due sommergibili britannici in Mediterraneo avrebbero disorganizzato, unitamente agli attacchi elettronici degli aerei, il sistema di comando e controllo delle forze rimaste fedeli al colonnello Gheddafi. Sarebbe poi stata neutralizzata gran parte delle difese contraeree, rendendo così possibili, senza rischi inaccettabili, attacchi contro i carri armati, le artiglierie e la logistica delle forze lealiste. Già con solo quelli effettuati ieri dagli aerei francesi e britannici e canadesi, l’attacco contro le difese di Bengasi si sarebbe fermato. Prosegue invece quello contro Misurata. Ciò costituisce una chiara dimostrazione che il “cessate il fuoco”, unilateralmente dichiarato da Gheddafi, sia stato una “bufala”, che tendeva a evitare l’attacco della coalizione a guida franco-britannica.
La strategia seguita dalle forze della coalizione anti-Gheddafi è diversa da quella adottata dagli occidentali in circostanze analoghe. Nel passato, non ci si limitava a danneggiare il dispositivo contraereo avversario. Si puntava alla sua distruzione, con bombardamenti aerei che duravano diversi giorni. Solo dopo averlo fatto, si passava ad attaccare gli obiettivi terrestri. Nel caso libico, essi sono stati attaccati sin dall’inizio. Lo si è fatto certamente in ossequio a quanto viene detto nella risoluzione ONU - e ripetuto in ogni occasione soprattutto da francesi e britannici - che lo scopo dell’attacco è quello di salvaguardare la popolazione civile dalle rappresaglie del colonnello. Meno smaliziati degli europei - oppure timorosi di essere sbugiardati dalla loro stampa che possiede esperti strategici di ottimo livello - i responsabili americani, da Obama a Hillary Clinton, hanno riconosciuto che il fine ultimo perseguito sono le dimissioni di Gheddafi. Esse permetterebbero alla coalizione di mediare fra le 140 tribù libiche e di promuovere la pace, la stabilità, il benessere e la democrazia, e chi più ne ha più ne metta.
Beninteso, i soli attacchi aerei e i rifornimenti di armi agli insorti - che, nonostante l’embargo, sembrano affluire dall’Egitto in Cirenaica - non saranno tali da impedire la riconquista dell’intero territorio libico da parte di Gheddafi. Potranno solo renderla più lunga e difficile. Forse, si potrebbe ipotizzare una mediazione da parte di qualche Stato che si è astenuto nella risoluzione ONU. Ad esempio, della Germania con la Russia o con la Turchia o con entrambe. L’Italia si è messa fuori gioco anche perché - a differenza di quanto aveva fatto nella crisi del Kosovo, nella quale non l’aveva ritirata da Belgrado - questa volta ha ritirato la propria Ambasciata da Tripoli. L’ha fatto forse per non suscitare dubbi a Parigi che facessimo il “doppio gioco”, continuando a trescare con Gheddafi. Mah! Comunque, anche questa è fatta e non si può tornare indietro.
Se la strategia seguita nei primissimi giorni dell’attacco è chiara, altri fatti suscitano vari interrogativi. Primo: non è stata definita la catena di comando, cioè chi sia responsabile della scelta degli obiettivi da bombardare e della gestione degli attacchi aerei. L’UE non vuole entrarci, perché non c’è la Germania e molti altri Stati membri. La Francia non vuole la NATO. Sarkozy non vuole lasciarsi togliere il “bastone del comando”. Secondo, non sono ben chiari gli obiettivi finali dell’azione. Nessuno può onestamente affermare che il vero scopo sia quello di proteggere i civili libici. Le loro perdite aumenteranno, soprattutto se Gheddafi li impiegherà come scudi umani per proteggere le componenti cruciali del suo dispositivo operativo e logistico. Più credibili sono altri obiettivi: eliminare Gheddafi con un colpo fortunato di cruise o di bomba d’aereo; farlo dimettere, ma in tal caso, anziché minacciarlo di incriminazione, gli si sarebbe dovuto offrire un salvacondotto credibile; provocare un cambio di regime, sponsorizzato dagli Stati che guidano la coalizione; dividere la Libia nelle sue due regioni storiche, unificate solo dalla conquista coloniale italiana; proteggere la “primavera araba”, che sta però ricevendo duri colpi in Bahrein, nello Yemen e nello stesso Egitto. Terzo, un altro dubbio riguarda il grado e la durata della partecipazione americana. A quanto dice il Pentagono essa si ridurrà, dopo le fasi iniziali, a soli compiti di supporto. Quarto, manca nella coalizione la presenza di uno Stato africano, mentre quella araba si è per ora limitata alla promessa d’invio di qualche cacciabombardiere da parte del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti. Particolarmente fastidiosa è la mancata partecipazione dell’Egitto, che pur era stato uno dei promotori della richiesta della Lega Araba di no-fly zone. Forse, si vuol tenere le mani libere, aspettando che la coalizione faccia il “lavoro sporco”, per poi estendere la sua influenza sulla Cirenaica, a cui è da sempre legata e sulle cui risorse petrolifere - che sono tre quarti di quelle libiche - mira a mettere le mani. Algeria e Siria sono, con la Turchia, nettamente contrarie all’intervento occidentale. Per ora la loro opposizione non conta molto. Potrebbe invece divenire determinante qualora Gheddafi resistesse a lungo. E’ probabile che lo faccia, non solo per il timore del tribunale internazionale, ma anche perché i termini dell’ultimatum indirizzatogli da Sarkozy a nome della coalizione sono chiaramente inaccettabili.