enrico franceschini , la Repubblica 21/3/2011, 21 marzo 2011
MARTINI, COMPIE 100 ANNI IL DRINK DI HEMINGWAY
- Nel 1911, al Knickerbocker Hotel di Times Square, noto come "il country club della 42esima strada" ma scomparso dalla topografia newyorchese, pare lavorasse un barman italiano chiamato Martini di Arma di Taggia. Sarebbe stato lui a sposare due terzi di gin con un terzo di vermuth.
E a creare così il drink che avrebbe preso il suo nome. Il condizionale è d´obbligo: sulle origini del cocktail più famoso del mondo circolano parecchie teorie. La suddetta versione, tuttavia, viene presa per buona dai più e si presta dunque per celebrare in questo 2011 i primi cent´anni di vita del martini. Il momento sembra propizio, perché è tornato di moda, dopo un periodo in cui sembrava caduto in disuso. Magari lo si beve corrotto da sapori che avrebbero fatto inorridire il suo presunto inventore, ma sempre più spesso nei locali trendy di Londra e Manhattan si rivedono gli inconfondibili bicchieri conici da cui spunta un´oliva.
Un motivo che ha riportato in auge un cocktail comunemente associato con l´età del jazz, di Hemingway e Scott Fitzgerald, di Noel Coward e Somerset Maugham, è il successo di "Mad Men", il serial televisivo sugli uomini-marketing dell´America anni ´50, che facevano tutto ciò che non si fa più oggi: aprire la porta alle donne, fumare di continuo e appunto bere martini. Il revival però non sarebbe stato possibile senza il contributo di Ian Fleming, che lo elesse a drink preferito del protagonista dei suoi romanzi.
Quei libri oggi non sono più tanto letti, ed è un peccato, ma a pubblicizzare i gusti alcolici dell´agente 007 provvede il cinema, al ritmo di un film tratto da un romanzo di Fleming ogni paio d´anni: sicché anche chi non ne ha mai bevuto uno conosce la sua frase emblematica, "shaken, not stirred", ovvero "shakerato, non mescolato", il modo in cui James Bond pretende che gli sia servito un martini. Non tutti sanno il perché di questa insistenza. Più il martini è shakerato, più è secco, dunque forte; e comunque 007 lo vuole shakerato con vodka, non con gin. Dello stesso parere è Harry Craddock, autore (nel 1930) del Savoy Hotel Cocktail Book, in cui prescriveva che il martini va sempre servito shakerato.
Altri dissentono: «Dovrebbe essere mescolato, affinché le molecole dei suoi due elementi giacciano sensualmente una sull´altra», sosteneva Maugham. Il partito di coloro che lo vogliono più "dry" possibile, d´altra parte, è ampio: va da Noel Coward, secondo cui per il martini perfetto occorre riempire un bicchiere di gin "e fare un gesto in direzione dell´Italia", ossia meno vermouth ci si aggiunge, meglio è; a Winston Churchill, per il quale la giusta proporzione consisteva nel "guardare la bottiglia di vermouth, mentre si colma di gin il bicchiere".
Un tempo, a Wall Street, quando le cose andavano bene, i banchieri consumavano il "three martini lunch", pranzi preceduti da tre martini. All´hotel Duke di Londra, uno dei suoi templi, i barman rigorosamente italiani sconsigliano simili abitudini: "Un martini non basta ma tre sono troppi, vanno bene due, come con le donne", una battuta alla James Bond. E lo scrittore Bernard De Voto, che a fine anni ´40 scrisse un libro per insegnare a bere i cocktail come si deve, prescriveva il martini esclusivamente per "the violet hour", l´ora violacea del crepuscolo.