GIULIA ZONCa, La Stampa 21/3/2011, 21 marzo 2011
Salazar, il dottor maratona che ghiaccia gli atleti Lui è il re della maratona, esule cubano cresciuto nel Massachussetts e diventato padrone di New York dopo averci vinto la 42 km per tre volte consecutive (dal 1980 al 1982)
Salazar, il dottor maratona che ghiaccia gli atleti Lui è il re della maratona, esule cubano cresciuto nel Massachussetts e diventato padrone di New York dopo averci vinto la 42 km per tre volte consecutive (dal 1980 al 1982). Questo è il passato, chiuso con un infortunio che gli ha stroncato la carriera sul più bello e con qualche goffo tentativo di imprenditoria. Il presente è iniziato nel 2001, a Portland, Oregon, con un progetto finanziato dalla Nike e l’idea di trovare atleti americani in grado di competere con l’Africa. Da allora coniuga scienza e allenamento con un misto di ricerca e trovate che ha portato anche l’agenzia antidoping a indagare in casa sua. «Effetti collaterali, ma hanno avuto modo di vedere come lavoriamo». Al limite. L’ultima trovata si chiama criosauna, il termine non è nuovo, la macchina sì. E ce ne sono solo sette in tutti gli Stati Uniti. È un cilindro, il maratoneta ci entra e viene avvolto in una nuvola di azoto e congelato per due minuti. La temperatura scende a -95 gradi, il sangue pompa per sostenere l’organismo nel momento critico e di colpo tutto finisce e il fisico dovrebbe godere di un immediato benessere, recuperare dalle fatiche con rapidità. «Sono un pioniere e posso solo andare per tentativi, ma ho già visto risatine davanti ai miei esperimenti, tanti si sono dovuti ricredere e hanno perfino deciso di imitarmi». La prima prova è andata benissimo, ieri alla mezza maratona di New York, la squadra di Salazar si è comportata al meglio. L’ultimo arrivato, il britannico Mo Farah, 15 giorni dopo l’oro nei 3000 metri agli Europei indoor, ha vinto al suo esordio su strada, Kara Goucher si è piazzata terza alla prima competizione ufficiale dopo la maternità e il debuttante Galen Rupp si è preso il podio (terzo gradino anche per lui). Rupp è il più chiacchierato perché Salazar lo ha prelevato al liceo, quando era un ragazzino e lo ha plasmato con i suoi metodi e anche usato come tester di tutte le novità. Ieri, a 24 anni, è uscito allo scoperto, sulle strade di Manhattan, ha retto a una caduta che lo ha coinvolto, rimontato, trottato vicino al plurimedagliato Farah e abbracciato il mentore cubano dopo il traguardo, «non è facile trovare talenti americani, bisogna lavorare in prospettiva». Salazar sfida da sempre lo scetticismo, fervente cattolico, sostenitore della fondazione Armstrong e personale amico del ciclista «inutilmente chiacchierato», ha scelto da subito una via solitaria e rischiato di essere licenziato ancor prima di vedere i frutti della sua ricerca. Ha iniziato con le camere iperbariche, trucco già sfruttato da diversi campioni, perfezionato nei laboratori dell’Oregon e poi archiviato. Il metodo dava risposte alterne e in più l’antidoping era pronto a squalificarlo. Il re della corsa ha accantonato ed è ripartito. Con l’aiuto della Nasa. Insieme a vari scienziati ha elaborato l’«AlterG» ovvero una camera in cui è possibile allenarsi in assenza di gravità. Non c’erano dati a cui aggrapparsi, nessuna certezza, solo quattro prototipi da mettere in funzione e lui li ha voluti tutti e quattro. Ha riempito di numeri centinaia di fogli e «capito che alleggerendo il carico si poteva correre senza gravare su ginocchia e fianchi, diminuendo i traumi». Approvato, però non era abbastanza. Ha chiesto aiuto ai russi per alcuni software all’avanguardia sulla raccolta di dettagli. Atleti attaccati agli elettrodi notte e giorno per monitorare i cambiamenti a riposo e sotto stress. Congegno troppo elaborato e forse non perfetto per spremere risultati sportivi attendibili. «Aprire delle strade significa provare, sbagliare, correggere, ricominciare. È un processo lungo e non è detto che sempre si ottenga qualcosa. La scienza esiste, lo sport la usa. Io cerco di guardare oltre: voglio provare tutto ciò che è legale, etico e morale. Senza limiti». Dopo un paio d’anni chiuso nel suo mondo gli hanno chiesto conto: zero successi e neanche l’ipotesi di qualcuno degno di farsi notare in una maratona. La Nike si stava innervosendo, hanno concesso tempo in cambio di qualche indizio e la fortuna ha girato. La nazionale americana lo ha assoldato, una consulenza per le Olimpiadi del 2004, un discreto appoggio esterno che lui ha trasformato nell’occasione della vita. Della seconda vita, quella da sperimentatore folle. Ha aiutato Deena Castor a prendersi un bronzo ai Giochi di Atene e accompagnato all’argento Mebrahtom Keflezighi (arrivato dietro Stefano Baldini). Salazar ha confermato il posto, ottenuto più sponsorizzazioni ed è andato avanti. Il passo successivo è stato l’Hydroworks, un tapis roulant subacqueo che oggi va di gran moda ed è usato dalle squadre di calcio, come il Manchester United. Altro giro di inventiva con la Shockwavetherapy, trattamento a onde d’urto cioè impulsi sonori per curare le lesioni. Tecnologia allo stato puro che non sostituisce la normale fatica: «Quando arrivano da me io sono chiaro. Si corre, si fanno chilometri, si aggiunge lavoro. Sempre di più, la differenza tra me e altri è che io sono convinto che il nostro corpo possa essere aiutato da ciò che è lecito. Non sempre funziona, non si può pensare che ogni atleta sia uguale e neanche farsi spaventare dalle incognite». Mo Farah, nome chiave del fondo e mezzofondo per i Giochi di Londra 2012, ha lasciato i pluridecorati centri di preparazione inglesi, dove era coccolato e riverito, e scelto la via Salazar. Ora anche lui si fa 20 o 30 chilometri a settimana sul tapis-roulant subacqueo. Apprezza i cambiamenti, il trasferimento in Oregon e adora il nuovo tecnico. Salazar ha fascino da vendere, incanta i più giovani, come è successo con Rupp e i migliori. Sente i dubbi camminargli dietro e risponde: «Devo trovare un cappello da scienziato pazzo, lo metterò quando spiego che succede a Portland. A Portland si insegue il futuro».