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 2011  marzo 19 Sabato calendario

Con questi romanzi l’italiano s’è ridesto - L’inno di Mameli spiega­to da Roberto Benigni ha convinto tutti

Con questi romanzi l’italiano s’è ridesto - L’inno di Mameli spiega­to da Roberto Benigni ha convinto tutti. Però sono stati in tanti (a partire dallo stesso co­mico toscano) a sottoli­neare che ormai la lingua di Mameli non è pane per i denti dei più. Insom­ma bisogna spiegare e commentare, parola per parola e verso per verso, l’inno che tutti ci rappresenta. E pen­sare che la lingua italiana è stata l’au­tentico vettore dell’unità. Eravamo, infatti, già un sol popolo secoli prima delle intuizioni di Mazzini e delle ge­sta di Garibaldi. Non a caso qualche giorno fa, nel corso di un’intervista, il filosofo Massimo Cacciari ha parlato di «matria» piuttosto che di patria. E in questi giorni il Quirinale mette in mostra i manoscritti originali dei ca­polavori che hanno fatto la storia del­la nostra letteratura. Un modo esem­plar­e di festeggiare i 150 anni della no­stra Unità. E per far capire che di que­st­a nostra lingua c’è ancora di che es­sere orgogliosi. Eppure le cose cambiano e così le priorità. Abbiamo quindi chiesto a fi­­lologi, storici della lingua e critici lette­rari quali sono i romanzi della nostra storia letteraria che possono suggeri­re un valido modello linguistico. Di­ciamo subito che non parleremo di Manzoni. È come se tutti gli interpella­ti si fossero messi d’accordo prima di parlare. Nessuno di loro lo cita. Le ra­gioni, però, sono presto dette: i Pro­messi sposi è un libro di testo. Quindi nelle mani dei ragazzi ci finisce co­munque. «Un libro che consiglierei - spiega Massimo Arcangeli, storico della lin­gua e direttore dell’Osservatorio lin­guistico nazionale della Zanichelli - è senza dubbio Le confessioni di un ita­liano di Nievo. È uno straordinario spaccato di storia identitaria e sociale e in più la sua lingua ha uno spessore e uno stile a tutt’oggi poco valorizza­to ». Arcangeli tira fuori dal cilindro an­che il nome di Collodi. « Pinocchio ­spiega - viene a torto considerato un libro per ragazzi o peggio ancora un capolavoro involontario. Al contrario è un capolavoro affatto riuscito. Van­ta una lingua impareggiabile. Ottimo testo per riappropriarsi di un lessico che sta progressivamente scompa­rendo ». In effetti i modelli linguistici devono innanzitutto fare da diga con­tro l’impoverimento lessicale. Ne è convinto anche Pietro Beltrami, diret­tore dell’Istituto Opera Vocabolario italiano del Cnr. «Avere un’ottima proprietà di linguaggio sia scritto sia parlato è un grimaldello indispensa­bile per qualsiasi situazione professio­nale o sociale­ spiega Beltrami- . Però non è indispensabile avere modelli al­ti. È ovvio che leggere Manzoni o Nie­vo non fa male. Se però i ragazzi si avvi­cinano a­lla lettura con Faletti o Camil­leri non è un gran danno. L’importan­te è che si abituino alla lettura ». Paolo Zublena insegna linguistica italiana all’università milanese della Bicocca. Si mostra piuttosto rassegnato. «La letteratura non è più un modello effi­cace dal punto di vista linguistico ­spiega - . In buona sostanza il nostro patrimonio letterario non è più fun­zionale alla costruzione di un discor­so identitario ». Come lingua esempla­re Zublena propone quella della Tre­gua di Primo Levi o quella della trilo­gia degli antenati di Italo Calvino. Se­condo il linguistica è nella produzio­ne dei pr­imi anni Sessanta che si pos­sono trovare gli esempi più felici della lingua italiana. «Quando si parla di sti­le semplice- ricorda Zublena- ci si ri­ferisce alla semplicità dei costrutti sin­tattici. Stiamo però parlando di autori con un ottimo bagaglio lessicale». Non si allontana molto dalla linea di Zublena anche Enrico Testa che sullo «stile piano» ha scritto un saggio fon­damentale ( Lo stile semplice. Discorso e romanzo , Einaudi,1997).Per lo stori­co dell­a lingua che insegna all’univer­sità di Genova il punto di partenza è la stagione narrativa a cavallo tra gli an­ni Cinquanta e Sessanta. «Va bene il Barone rampante e La tregua­spiega Testa - ma aggiungerei anche Casa d’altri di Silvio D’Arzo. Rarissimo ca­so d­i un romanzo che rende accessibi­le attraverso una lingua semplice e ac­cattivante un alto contenuto filosofi­co ». Secondo il linguista genovese ai ragazzi è opportuno proporre soprat­tutto esempi di asciuttezza e concen­trazione espressiva come Il taglio del bosco di Cassola e Una questione pri­vata di Fenoglio». Anche se siamo la patria del dan­nunzianesimo, della prosa d’arte e dei rondisti, la bella pagina e il bello scrivere hanno perso fascino e anche il plurilinguismo gaddiano ha diffici­le presa sui ragazzi di oggi pur rappre­sentando una vetta inarrivabile da parte di epigoni e «nipotini». Un no­me che mette d’accordo quasi tutti è quello di Tommaso Landolfi. Lo vota­no, tra gli altri Michele Mari, Walter Pedullà e lo stesso Arcangeli. « La pie­tra lunare­spiega Mari, scrittore di va­glia e professore di Letteratura italia­na alla Statale di Milano - è un testo adatto ad avvicinare i giovani a una lingua esemplare. E non solo per le ca­pacità stilistiche di Landolfi ma an­ch­e perché si tratta di un romanzo go­tico con una trama seducente ». Mari, che ha da poco ripubblicato I demoni e la pasta sfoglia ( Cavallo di Ferro), of­fre altri esempi di una lingua ancora viva e a suo modo esemplare. «Se do­vessi parlare di un gusto personale ­spiega lo scrittore milanese - citerei Le menzogne della notte di Bufalino. Pensando ai giovani lettori, segnale­rei invece l’ancora godibilissimo Il cappello del prete di Emilio De Marchi e La bocca del lupo di Remigio Zena (pseudonimo di Gaspare Invrea, ndr)». Tra gli esempi imperituri an­che Le ultime lettere di Jacopo Ortis . «Ma è roba scolastica. Quindi una me­di­cina già somministrata in modo co­atto » aggiunge. «Panzini oggi non lo leggerebbe nessuno. Inutile proporlo come esempio di bello scrivere anche se questo è stato il suo primo scopo». A parlare è Walter Pedullà, uno dei de­cani della critica militante e direttore della prestigiosa collana «Cento libri per mille anni»,che raccoglie per con­to del Poligrafico dello Stato i migliori testi della nostra tradizione letteraria dalle origini fino alla fine del Ventesi­mo secolo. «Moravia era solito divide­re gli scrittori proprio nel modo in cui usavano la lingua - ricorda Pedullà - . Da un lato c’erano quelli che usavano le parole con la gobba (come Gadda) e quelli che fornivano una scrittura dalle pareti lisce (Bontempelli)». Per il critico è la storia stessa del romanzo italiano del Novecento a dividersi nel­le due fazioni: plurilinguismo contro monolinguismo. «Svevo e Pirandello sono stati i più grandi costruttori di ro­manzi- ricorda- ma dal punto di vista linguistico erano davvero grigi. Me­glio il Bilenchi del Conservatorio di Santa Teresa o Gli occhiali d’oro di Bassani. E consiglierei anche il Muli­no del Po e La cognizione del dolore ma temo che chiederei, forse, uno sforzo troppo grande ai ragazzi».