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 2011  marzo 19 Sabato calendario

Così la Russia ha lanciato un salvagente a Muammar - L’uscita d’emergenza era spa­lancata e il rais che tutto è, ma non un suicida, l’ha imboccata al volo

Così la Russia ha lanciato un salvagente a Muammar - L’uscita d’emergenza era spa­lancata e il rais che tutto è, ma non un suicida, l’ha imboccata al volo. La clausola che rischia di bloccare l’intervento armato e garantire la sopravvivenza politica e fisica di Muammar Gheddafi troneggia al punto 1 della risoluzione votata giovedì notte dal Consiglio di Sicu­rezza. Quel primo paragrafo lo spiega testualmente. «Le Nazioni Unite chiedono l’immediata defi­nizione di un cessate il fuoco e una completa fine della violenza e di tutti gli attacchi e gli abusi ai danni dei civili». A piazzar lì quell’ultimo salva­gente ci han pensato i russi. Pote­vano brandire l’arma del veto, tra­cheggiare, tirar tardi, rallentare per giorni l’approvazione di una «no fly zone» che il ministro degli esteri Sergei Lavrov aveva già defi­nito «superflua e pericolosa inge­renza ». Invece si son fatti furbi. Stu­fi di passar per i paladini dei ditta­tori han condizionato il sì all’inse­rimento di quella formuletta sul cessate il fuoco. I maligni pense­ranno ad un accordo sottobanco con il rais, noi notiamo soltanto (e da giorni lo scriviamo) che Muam­mar Gheddafi è alla ricerca di una via d’uscita «politica» capace di evitargli un epilogo «iracheno». Mosca gliel’ha offerta su un piatto d’argento. Certo tra l’auto-dichia­rare il «cessate il fuoco» ed evitare le bombe c’è di mezzo il mare. An­ch­e perché significa arrestare anzi­tempo l’offensiva su Misurata, do­ve gli insorti controllano ancora qualche sacca di resistenza, e bloc­care la corsa verso Tobruk indi­spensabile per sigillare quella frontiera egiziana da cui stanno transitando misteriosi carichi d’ar­mi destinati ai ribelli. Ma il Beduino di Tripoli non ha fretta. Il Muammar sopravvissuto a mille intrighi conosce a menadi­to l’arte della sopravvivenza, sa che un bivio tra politica e guerra è la via migliore per spiazzare le fra­gili coscienze occidentali. Soprat­tutto se a guidarle c’è un Barack Obama troppo indaffarato con i guai afghani per permettersi il lus­so di un’altra avventura militare. Soprattutto se il campo interventi­sta resta diviso tra la frenesia anti­gheddafiana di una Francia deci­sa a sganciar le prime bombe en­tro poche ore e l’attendismo di un Pentagono che preferirebbe un av­vio più lento, preceduto da un ac­cordo capace di coinvolgere an­che le aviazioni della Lega Araba. Il Colonnello lo intuisce e con quel cessate il fuoco buttato sul tavolo subito dopo l’approvazione della «no fly zone» punta innanzitutto a spiazzare il bellicoso Nicolas Sarkozy e la sua promessa d’inter­vento immediato. Il gioco in que­ste ore sembra quasi riuscito. Il mi­nistro degli esteri francese Alain Juppè già condiziona ogni deciso­ne alle decisioni del summit sulla Libia convocato per domani a Pari­gi. Un vertice a cui parteciperanno non solo l’Unione Europea, l’Onu e la Lega Araba, ma anche molti paesi africani amici di Gheddafi. Insomma un classico vertice del­l’attendismo internazionale, un summit che sembra studiato appo­sta per darsi la zappa sui piedi. Di­sinnescata la Francia conquistarsi la remissione del resto del pianeta sarà un gioco da ragazzi. Del resto se si escludono Londra e Parigi nessuno in Europa sembra ansio­so di morire per Bengasi. Non cer­to la Germania di Angela Merkel alle prese con grossi ed imminenti guai elettoral-nucleari. Non certo la nostra Italia costretta, in un eventuale dopo Gheddafi, a cer­carsi complesse alternative ener­getiche. Dunque la partita è tutta legata a quel cessate il fuoco. Se nelle prossime 48 ore la Fran­cia non riuscirà a dimostrare il «bluff» del rais e a convincere gli alleati i Tornado e i Mirage reste­ranno a terra e la partita libica si avvierà allo stallo. Ovviamente gli insorti di Misurata e Bengasi pos­sono provocare le truppe governa­tive, ma visti i loro limitati margini di movimento e la loro scarsa inci­sività militare il Colonnello può far buon viso a cattivo gioco accet­tando d’incassare qualche colpo nel nome della propria sopravvi­venza. Anche perché vincere su tutta la linea non è né utile, né indi­spensabile. Il secondo punto della mozione dell’Onu sottolinea la «necessità di trovare una soluzio­ne alle legittime domande delle popolazioni libiche» e prevede l’invio in Libia di un rappresentan­te dell’Onu e dell’Unione africana per facilitare il dialogo e negoziare riforme. La sopravvivenza di un gruppo di ribelli a cui offrire un’amnistia ed un dialogo politico fa, insom­ma, il gioco del rais che - stabilità l’effettività del cessate il fuoco-po­trebbe già invocare il passaggio al­la fase due. Certo sopravvivere con una «no fly zone» sul capo non è facile, ma il «cane matto» di Tri­poli è già sfuggito alle bombe di Re­agan, a decine di complotti e a 11 anni di sanzioni. Può salvarsi an­che stavolta. Soprattutto se a invo­c­are l’intervento resta solo la Fran­cia di Sarkò.