Giorgio Dell’Arti, La Stampa 19/3/2011, PAGINA 86, 19 marzo 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 83 - RIVOLUZIONE GENERALE
Un’altra rivoluzione? Tre rivoluzioni, almeno. La prima a Parigi. Il 22 febbraio era stato proibito un banchetto dell’opposizione. Ne era nata una manifestazione al canto della Marsigliese, talmente imponente che Luigi Filippo si decise a destituire Guizot. Però il pomeriggio del 23... Lasciamo raccontare a Victor Hugo: «Le folle che avevo visto incamminarsi cantando allegramente per i boulevards, avanzarono dapprima pacificamente, senza incontrare resistenza. Al loro passaggio i soldati d’artiglieria e i corazzieri si dividevano in due file lasciando via libera. Ma sul boulevard des Capucines era ammassato un corpo di truppe di fanteria e di cavalleria, che occupavano i due marciapiedi e bloccavano la via stessa, a difesa del ministero degli Affari esteri e del suo impopolare ministro Guizot. Davanti a quell’ostacolo insormontabile, la testa della colonna cercò di arrestarsi e di voltare in un’altra direzione, ma la pressione incontenibile dell’enorme folla la incalzava costringendola ad avanzare. In quel momento s’udì uno sparo, non si sa da che parte provenisse. Seguì una scena di panico, e una scarica di fucileria. Otto persone giacevano a terra, morte o ferite. Un grido generale di orrore e di furore sorse allora tra la folla: vendetta! I corpi delle vittime vennero caricati su una carretta illuminata da torce a vento. Il corteo così formato tornò indietro avanzando a passo di funerale e fra continue maledizioni. In poche ore tutta Parigi era piena di barricate». Luigi Filippo dovette scappare su un calesse, perché tutte le carrozze erano state bruciate. Gli insorti annunciarono la repubblica, il suffragio universale, l’abolizione dello schiavismo.
Le ragioni profonde? I tre anni di carestia. La miseria. Il terribile inverno del ’47. «Bande di affamati arrestavano il trasporto delle granaglie o saccheggiavano le case isolate e ne uccidevano talvolta i proprietari, mentre torme di mendicanti prepotenti e minacciosi invadevano i mercati o depredavano i carri carichi di grano o i granai meglio provveduti» (Spellanzon). Parigi era passata da 850 mila a un milione e duecentomila abitanti. I posti di lavoro erano sempre quelli. Lo Stato era pieno di debiti, i politici corrotti e ignari, il duca di ChoiseulPraslin, pazzo per la governante, aveva ammazzato la moglie e quasi non era stato arrestato perché Pari di Francia. Un Parlamento di proprietari terrieri, che giocava in Borsa e non costruiva fabbriche. La famosa Guardia Nazionale stava con i rivoltosi. Bugeaud non aveva sparato sulla folla perché sperava di avere un ministero da Thiers. I rivoltosi in armi, prima di proclamare la repubblica, avevano invaso l’aula della Camera. Il 20 febbraio Luigi Filippo aveva detto che i parigini non fanno le rivoluzioni d’inverno. Il 21, a Londra, era uscito Il Manifesto di Marx.
La seconda rivoluzione? A Vienna. Una cosa completamente diversa. Studenti eccitati da quello che stava succedendo a Parigi e che tenevano comizi davanti alla Cancelleria. Metternich che convoca i professori intimando di tenerli buoni. Metternich: «Meglio il peggio del male». Tra i dimostranti davanti al Palazzo della Dieta c’erano operai ed ebrei. L’arciduca Alberto era stato preso a sassate. Metternich: «Un’epoca fondamentalmente perversa». Scappò poi in Inghilterra, la sera del 14 marzo, dove, ironia della sorte, stava anche Mazzini. Gli studenti in festa, insieme alle guardie imperiali, andarono allora a fermare gli operai, che continuavano a saccheggiare i sobborghi, e gli spararono addosso. Una cosa è la rivoluzione borghese, un’altra quella proletaria. Intanto erano scese in piazza Praga, Presburgo, Zagabria, Berlino, Venezia.
Venezia? Era la stessa rivoluzione di Vienna. La folla impose la liberazione di Daniele Manin e Niccolò Tommaseo, incarcerati. L’imperatore concesse l’abolizione della censura, una nuova legge sulla stampa, la guardia civica e, il giorno 16, la costituzione. Estesa a tutto l’impero.
Anche al Lombardo-Veneto? Era ormai tardi. I milanesi diedero l’assalto al Palazzo del Governo in corso Monforte, Cernuschi - in frac e cravatta bianca alle undici di mattina - salito su a capo di un bel gruppo tumultuante, prese il vicepresidente O’Donnell per il bavero della giacca e gli impose la guardia civica, il disarmo della polizia, i pieni poteri al Municipio. O’Donnell fu costretto a firmare stando affacciato alla finestra, penna e calamaio in bilico sul davanzale, mentre sotto la folla gridava. Erano intanto state costruite cinque barricate, due in contrada Monforte, una al Ponte di San Damiano, altre due nella vicina contrada della Passione. Si sentirono le cannonate che avvisavano dell’imminente reazione austriaca, Radetzky, che stava in casa Cagnola dov’ era il comando militare, si trasferì al Castello e ordinò al generale Wohlgemuth di andare a riprendere il Palazzo del Governo, e al generale Rath di presidiare il Palazzo del Viceré. Rath aveva con sé granatieri d’Ungheria e cacciatori del Tirolo. I milanesi lo presero a fucilate nella contrada di Santa Margherita, tra la Scala e il Duomo. La truppa aveva già sparato sulla folla in via del Monte… Beh, perché continuare? Era il 18 marzo 1848, un sabato. La prima delle Cinque giornate.