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 2011  marzo 19 Sabato calendario

Il film mai girato sull’Olocausto - Non solo il Napoleone pensato per Jack Nicholson. L’altro capolavoro che Stanley Kubrick non ci ha dato si sarebbe dovuto intitolare Aryan Papers

Il film mai girato sull’Olocausto - Non solo il Napoleone pensato per Jack Nicholson. L’altro capolavoro che Stanley Kubrick non ci ha dato si sarebbe dovuto intitolare Aryan Papers . Tema: l’Olocausto. La storia è (abbastanza) nota ma torna alla ribalta a Parigi, dove da mercoledì la Cinémathèque française presenta la grande mostra su Kubrick che dal 2004 sta girando l’Europa, Italia compresa (è transitata per Roma fra il ‘7 e l’8), con un ricco contorno di incontri (giovedì parlano di lui la vedova, Christiane, il genero e collaboratore Jan Harlan e Marisa Berenson, la Lady di Barry Lyndon ), presentazioni di libri e, ovviamente, la retrospettiva completa dei suoi film, non certo sterminata perché questo regista perfezionista licenziò appena 13 lungometraggi in 46 anni di carriera. Ad Aryan Papers , Kubrick iniziò a lavorare dopo Full Metal Jacket , all’inizio degli Anni Novanta. Per la verità, Kubrick pensava alla Shoah da prima: nel ‘76, spedì Harlan a New York da Isaac Singer per chiedergli una sceneggiatura sull’argomento. Lo scrittore lo gelò: «Sono molto onorato della fiducia di mister Kubrick. Ma non ne so assolutamente nulla». In realtà, Singer si misurava con lo stesso problema che angosciava il regista, l’enorme sproporzione fra il film e la tragedia che il film racconta. Come dire l’indicibile? La risposta, Kubrick credette di averla trovata quando lesse Wartime Lies , il libro semiautobiografico di Louis Begley, un ebreo polacco che in realtà si chiamava Ludwik Begleite e allo scoppio della guerra era un ragazzino. Nel libro si ribattezza, in tutti i sensi: il suo alter ego si chiama Maciek e si salva nascondendosi nella foresta e fingendosi cattolico. Tutta la vicenda è vista con gli occhi del bambino e raccontata dalla sua voce. Finita la guerra, Maciek-Begley emigrò in America e divenne un avvocato di successo a Manhattan. In una memorabile occasione, il suo telefono squillò: dall’altra parte c’era Kubrick, che voleva sentire una canzone più volte citata nel libro. Begley non aveva il disco e così gliela canticchiò al telefono. Insomma, Kubrick si era appassionato. Nei suoi film aveva spaziato dalla Roma antica al Settecento, dalla Grande guerra alla fantascienza. Non aveva mai affrontato la Seconda guerra mondiale, ma da sempre voleva farlo. Pensò a lungo a un film ambientato nell’ambiente del cinema tedesco degli Anni Trenta, trasformato da Goebbels in una formidabile macchina di propaganda per Hitler. E del resto aveva sposato la nipote di Veit Harlan, il regista di Jud Süss , la più famosa pellicola antisemita prodotta dal nazismo, il film preferito da Himmler che ne raccomandava la visione alle Ss. Su Aryan Papers , quindi, Kubrick lavorò molto. Nei suoi archivi sono conservate oltre duemila fotografie di foreste della Repubblica ceca, dell’Ungheria e della Danimarca, dove sarebbe stato girato il film. Non solo: Kubrick aveva già scelto la protagonista femminile, la giovane Tania che scappa insieme a Maciek. Pensò a Julia Roberts e a Uma Thurman, ma alla fine la scelta cadde su un’attrice molto meno famosa e che poi, visto che il film non si fece, famosa non lo diventò mai: l’olandese Johanna ter Steege. Il progetto era così definito che la Warner, nel ‘93, annunciò il film. Resta da capire perché Kubrick non lo iniziò mai. Pesava, certo, la consapevolezza che nello stesso momento un amico come Steven Spielberg stesse realizzando Schindler’s List (che lasciò Kubrick perplesso: «L’Olocausto - disse -, sono sei milioni di persone assassinate. Schindler’s List , le 600 che si sono salvate») e le similitudini sarebbero state troppe. Però, secondo la moglie, scattò qualcosa di più profondo: «Pensava che l’Olocausto fosse una storia irracontabile: "Se davvero voglio mostrare ciò che ho letto e che è successo - e aveva letto tutto - come posso filmarlo? Come si può far finta?". Era molto depresso durante la preparazione e fui contenta quando rinunciò, perché stava davvero soffrendo». In realtà, era molto indeciso. Per il Natale del ‘93 mandò una cartolina a Barbara Baum, la costumista che aveva fatto lavorare per un anno a un film che non si sarebbe mai fatto. O forse no: «Tutto questo lavoro non sarà inutile», le promise. Kubrick, il genio dell’incertezza.