Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 19 Sabato calendario

“Faremo come Kobe risorta dieci anni dopo” - Il 17 gennaio 1995, alle 5,46 di mattina, Kobe venne svegliata di soprassalto da uno dei più forti sismi ad aver colpito il Giappone fino ad allora: il bilancio dei morti fu di 6400 persone, 200 mila case e gran parte della città andarono distrutte, il porto fu severamente danneggiato (120 dei 150 moli distrutti), le vie di comunicazione che collegavano Kobe e Osaka a Tokyo bloccate per diversi giorni, con un intero chilometro dell’autostrada Hanshin crollato

“Faremo come Kobe risorta dieci anni dopo” - Il 17 gennaio 1995, alle 5,46 di mattina, Kobe venne svegliata di soprassalto da uno dei più forti sismi ad aver colpito il Giappone fino ad allora: il bilancio dei morti fu di 6400 persone, 200 mila case e gran parte della città andarono distrutte, il porto fu severamente danneggiato (120 dei 150 moli distrutti), le vie di comunicazione che collegavano Kobe e Osaka a Tokyo bloccate per diversi giorni, con un intero chilometro dell’autostrada Hanshin crollato. Palazzi di molti piani si appiattirono su se stessi, altri restarono sbilenchi a penzolare in avanti per giorni. Poco dopo il terremoto di 6.8 di magnitudo, una serie di incendi fece il resto: la città bruciò per giorni, consumando interi quartieri di case di legno che si erano affacciate sul mare fino a poco prima. Le perdite ammontarono a 10 trilioni di yen (quasi 90 miliardi di euro, il 2,5 percento del Pil giapponese all’epoca). Il disastro è rimasto noto come il Grande terremoto di Hanshin-Awajii, un evento epocale nella storia del Giappone, rivisitato in questi giorni il cui il Paese si trova nuovamente vittima della furia della natura. Alcuni distretti di Kobe furono talmente disastrati che molte persone, invece di aspettare la ricostruzione, decisero di spostarsi altrove, e ricominciare a Osaka, Nagoya, o Tokyo. Nagata, per esempio, una delle zone più colpite, prima del terremoto contava 140 mila abitanti: oggi sono la metà. Il disastro che mise Kobe in ginocchio modificò il Giappone in modo permanente: dopo pochi secondi di terremoto, crollò anche la cieca fiducia che la popolazione aveva nella solidità delle sue strutture e nelle sue misure antisismiche. Improvvisamente, ci si rese conto che non bastava avere codici di costruzione che rendessero resistenti le case di nuova costruzione, se le abitazioni vecchie erano pericolose e mancava un sistema di pianificazione urbana che prevedesse anche vie di trasporto alternative in caso di collasso di quelle principali. L’operato del governo Murayama, Primo Ministro nel ’95, venne unanimemente considerato privo di efficacia (uomo dall’inscalfibile pacifismo e dalla forte opposizione alle forze armate, tergiversò per giorni prima di inviare l’esercito ad aiutare Kobe), ma le lezioni pagate così care da Kobe sono state imparate, almeno in parte, come si vede anche per la serie di catastrofi che si sono abbattute sulla costa Nord-Est del Giappone questo 11 marzo. L’esercito, per esempio, è stato immediatamente mobilitato. I pacchi per i sinistrati contengono WC pieghevoli d’emergenza, e da allora gli impianti del gas delle case giapponesi hanno un meccanismo automatico che interrompe l’erogazione in caso di scossa. Kobe, intanto, dopo essere stata rimessa in piedi con quello che venne battezzato il Programma Fenice, è rinata: di nuovo piena di attività e movimento, ha saputo ricostruire e tramutarsi da luogo di tragedia a una città allegra, pulita, piena di negozi, ristoranti, luci al neon, moda divertente e strampalata, non dissimile dalle altre grandi città giapponesi. Ma il trauma del 1995 è stato troppo forte per consentire solo di ricostruire e guardare avanti: così, con la volontà che quella tragedia non sia inutile, oggi a Kobe si studia come diminuire l’impatto dei disastri naturali. Un grande centro, proprio nell’area di fronte al porto che fu una delle più colpite dal sisma (ora chiamata HAT: Happy Active Town), porta il nome di «Istituto per la mitigazione dei disastri e il rinnovo umano», ed è sia un centro di ricerca sia museo e memoriale. Il museo cerca di ricreare le sensazioni provate nei momenti della scossa, con effetti speciali, film, oggetti raccolti dalle macerie, video con testimonianze di terremotati, e pannelli esplicativi. «L’area su cui siamo era stata totalmente distrutta», spiega Yoshihiro Nakamura, 75 anni, scampato al terremoto per miracolo e volontario al memoriale: «Adesso, quello che dobbiamo fare è mettere a frutto l’esperienza di Kobe per aiutare Sendai, anche se la forza del sisma che si è abbattuto sul Nord-est è 170 volte più intensa di quella che ha colpito noi, senza contare lo tsunami e il pericolo radiazioni. La prevenzione non può andare lontano in questi casi, ma la solidarietà sì». Il piano del museo dedicato al dopo-calamità mostra una serie di kit ideali, i migliori modi per costruire i tetti delle case in modo da renderli anti-sismici, e i tipi più pratici di abitazioni prefabbricate temporanee: «Centinaia di migliaia di persone si trovarono senza casa, così vennero costruiti questi prefabbricati – in media, le persone ci sono rimaste due anni. Chi ci ha abitato più a lungo ci ha passato cinque anni. Poi, le abbiamo piegate e spedite dove ce n’era bisogno: in Turchia, a Taiwan - dice Nakamura -. Ci abbiamo messo dieci anni a ricostruire Kobe. Per ricostruire la serenità che avevamo prima, però, ci vorrà più tempo, il trauma ha segnato molto profondamente». Il memoriale, del resto, non disdegna un approccio filosofico alle disgrazie: nell’ultima sala un film animato racconta la storia di «Freddie the Leaf», una foglia la cui vita dura dalla primavera all’inverno, e che abbandonando il ramo su cui è cresciuta spiega che «la morte fa parte della vita, non bisogna aver paura di ciò che non si conosce». Fuori, davanti al porto – che non ha mai riconquistato il posto di primaria importanza che aveva prima del terremoto, in parte anche per il declino economico giapponese – invece delle fitte abitazioni c’è un grande parco pubblico, con spazi verdi e spazi in cemento. Dietro, infiniti palazzi nuovi, centri commerciali e ampi viali, come una protesi moderna e un po’ forzatamente allegra, cresciuta al posto della Kobe più tradizionale e un po’ fatiscente che la terra ha voluto scrollarsi di dosso con tanta violenza.