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 2011  marzo 19 Sabato calendario

Effetto Bengasi nello Yemen: 46 morti - Sarà che gli orologi di Sana’a sono 4 ore avanti rispetto a quelli di Bengasi, ma quando ieri Gheddafi ha fatto un passo indietro piegandosi al cessate il fuoco il presidente Ali Abdallah Saleh si era già spinto troppo oltre nel reprimere i suoi ribelli

Effetto Bengasi nello Yemen: 46 morti - Sarà che gli orologi di Sana’a sono 4 ore avanti rispetto a quelli di Bengasi, ma quando ieri Gheddafi ha fatto un passo indietro piegandosi al cessate il fuoco il presidente Ali Abdallah Saleh si era già spinto troppo oltre nel reprimere i suoi ribelli. Il quinto venerdì della rabbia yemenita si chiude con un bollettino di guerra: almeno 46 persone sono morte e centinaia sono rimaste ferite negli scontri tra la polizia e i manifestanti che dal 16 febbraio chiedono le dimissioni di Saleh, al potere da 32 anni. Il capo dello Stato, bacchettato dalla Casa Bianca, si è «rammaricato» per le vittime definite «martiri della democrazia» senza però prenderne in considerazione le istanze e ha proibito ai civili di portare armi imponendo lo stato d’emergenza, estrema trincea delle dittature sotto assedio. «Ci hanno sparato ad altezza d’uomo, gli elicotteri sorvolavano la piazza, i blindati bloccavano le strade, non riuscivamo neppure a trascinare al riparo i feriti» racconta al telefono un militante di Alleanza studentesca per il cambiamento, la sigla che da settimane anima il sit-in permanente davanti all’università della capitale. Il governo nega la responsabilità della polizia sostenendo che tra i dimostranti ci fossero infiltrati e prova a smarcarsi con le scuse formali e la promessa di una commissione d’inchiesta sulla «strage», ma la difesa suona d’ufficio. Troppo tardi comunque per l’opposizione che in mattinata, per evitare in extremis lo scontro, aveva invano proposto attraverso i vertici religiosi islamici una graduale uscita di scena del presidente entro la fine del 2011. Ormai è muro contro muro e oltre alle dimissioni i cartelli di protesta invocano il Tribunale penale internazionale. Se Sana’a brucia e le diverse opposizioni yemenite si avvicinano ai separatisti del sud in chiave antiregime, la temperatura della regione resta altissima dovunque. Nelle ultime ore le manifestazioni si sono moltiplicate da Baghdad a Manama passando per Riad, Teheran, Damasco. Centinaia di sciiti sono scesi in strada in Iraq e in Iran a sostegno dei fratelli sotto tiro in Bahrein, dove ieri migliaia di attivisti hanno sfilato in diverse città in barba al divieto dell’odiato re sunnita Hamad al Khalifa. Tensione, paure, minacce, fluttuano da un paese all’altro influenzandosi a vicenda. «La Libia è il banco di prova per capire se la violenza paghi o meno, la decisione dell’Onu ha indebolito Gheddafi e l’esito di quello scontro sarà il modello per l’intera regione» nota Ezzedine Choukri Fishere, analista dell’American University del Cairo. Lo Yemen, come l’Algeria e la Siria, si è opposto strenuamente alla no fly zone votata giovedì notte dal Consiglio di sicurezza. A chi toccherà adesso nel caso di una nuova resa dei conti? Le Nazioni Unite si fermeranno a Bengasi o presteranno ascolto agli altri popoli arabi? L’Arabia Saudita ostenta sicurezza, ignorando i rimbrotti americani per il sostegno militare fornito al Bahrein nel soffocare la piazza, ma l’alternanza della carota al bastone adottata sul fronte interno tradisce inquietudine. Ieri l’87enne re Abdullah si è presentato eccezionalmente in tv per mostrare il pugno ai potenziali ribelli, tipo quelli repressi giovedì a Qatif, ma anche per annunciare ennesime concessioni alla popolazione, dall’innalzamento del salario minimo a 3000 riyal al mese (600 euro) alla creazione di 60 mila posti di lavoro (nella sicurezza). Soldi insomma (91 miliardi di dollari), ma nessuna delle riforme politiche proposte dall’opposizione. Di più, la monarchia lascia intendere d’essere pronta a inviare altre truppe a Manama e a sostenere il presidente yemenita Saleh, poco amato finora ma ormai inseparabile alleato nella battaglia finale per la sopravvivenza.