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 2011  marzo 24 Giovedì calendario

CAFFE’ CON LA BOLLA

Due dollari e 87 centesimi: è il prezzo per libbra, a oggi, del caffè verde, cioè alla raccolta. Quattro etti e mezzo che diventato 385 grammi di tostato, una cinquantina di tazzine. Il dato dice poco? È il doppio che nel giugno scorso. Preoccupati per il caffè del dopo pranzo? Nel ’96, causa una devastante gelata in Brasile, il prezzo era di 3 dollari a libbra. Ma nel 2001, dopo che il deficit produttivo aveva spinto altri Paesi ad affacciarsi sul mercato (è il caso, per esempio, del Vietnam, oggi saldamente al secondo posto dopo il Brasile), il chicco non valeva che 40 centesimi a libbra. Un prezzo da fame. E sul caffè vivono 25 milioni di famiglie del Sud del mondo: chi in piccole e medie piantagioni, qualche migliaio in Brasile; chi nell’orto di casa, come i 150 mila microproduttori che in Etiopia, racconta Andrea Illy, presidente e amministratore delegato di Illycaffè, "nei mesi del raccolto si mettono in coda dalle sei del mattino per venderci il loro prodotto nei secchielli". Famiglie sballottate sull’ottovolante di prezzi dettati essenzialmente dalla speculazione: gli scherzi della meteorologia, siccità, alluvioni e global warming, concorrono solo a determinare le precondizioni perché il gioco dei futures sulla commodity caffè si scateni o si fermi per un istante. Un dato per tutti, fornito sempre da Illy: "Il mercato borsistico del caffè equivale a dieci volte lo scambio fisico. Ovvero: si scambia il chicco futuro dieci volte più di quello che c’è. Oppure: passa di mano dieci volte, rendendo il prezzo estremamente volatile".
Bolla? Certo. Ma tutto lascia pensare che continuerà a crescere fino all’istante prima del crollo: perché i prezzi delle commodities (petrolio, oro, cereali, cacao e altre materie prime) sono tutti esposti alla speculazione e perché la situazione in Nord Africa fa schizzare in alto il barile. Vale anche il contrario, come nota Gaetano Mele, l’amministratore delegato di Lavazza che viene dall’editoria (Rcs): "Tra le concause dei movimenti nel Maghreb sembra esserci proprio l’aumento del costo delle materie prime alimentari e no, che ha contratto la capacità d’acquisto di quei popoli e peggiorato le loro condizioni di vita". Stando così le cose, un’inversione di tendenza, che anche senza crolli repentini ricollochi il prezzo a mezza strada su 1,80-2 dollari, può farsi attendere chissà per quanto. Per avere un’idea di che cosa questo significhi per noi consumatori addicted della caffeina, Mele dice di "non poter escludere fra tre mesi un ulteriore aumento". Sarebbe il terzo e parla del prezzo di cessione al trade. Per il primo, da giugno Lavazza ha potuto aspettare novembre, perché fiutando l’aria che tirava aveva acquistato tutto il possibile al vecchio prezzo. Un secondo ritocco dell’8-9 per cento è stato appena annunciato. Il terzo è appunto possibile a breve. E siccome non c’è aumento del prezzo finale che possa compensare quello di acquisto da parte dei torrefattori, Lavazza ha messo in conto per il 2011 un peggioramento dei risultati di gestione.
Ma i cambiamenti sono strutturali oppure congiunturali? Su questo punto i pareri si discostano. Illy, fatta la tara al devastante intervento di una speculazione che è peggio delle cavallette, e ricordato il misero fallimento di un tentativo di regolare il mercato con quote e prezzi minimi per fasce negli anni Settanta (definitivamente abortito nel 1989), rimarca due o tre fattori che cambiano parecchio il quadro. Nuovi strepitosi mercati, intanto. Come il Brasile, maggior produttore, ma fino all’altro ieri debolissimo consumatore. La Cina e l’India, in crescita del 10 per cento contro una media del 2,5, "con una stretta relazione, come ieri per il Giappone e le tigri anni Ottanta Corea e Taiwan, tra aumento del reddito disponibile e crescita nel consumo di caffè". Ma anche l’Est europeo, per l’occidentalizzazione degli stili di vita. E Stati Uniti e Germania, primi consumatori, dove il declino s’è arrestato complice il ribaltamento d’immagine della bevanda, ieri "sconsigliata per infondati pregiudizi dalla comunità medica, oggi suggerita per i suoi effetti di potente antiossidante e antiasma, ma anche contro il mal di testa e persino l’Alzheimer", che detto così pare un elisir di lunga vita. Altro fattore di crescita è il boom del sistema a capsule per il caffè di casa. Quanto al clima, l’ultimo allarme è la distruzione di un terzo del prodotto in Colombia per le piogge torrenziali degli ultimi anni: "Intere regioni potrebbero diventare presto incompatibili con la coltivazione di caffè".
Mele, invece, quanto all’andamento dei prezzi, confessa "seri dubbi che si tratti di un fenomeno strutturale. Il mercato mondiale cresce, è vero, ma del 3-4 per cento. Il raccolto, per cattivo che possa essere, oscilla comunque sui 50 milioni di sacchi, tranquillamente sufficiente a coprire il fabbisogno. Il punto è l’accaparramento, la speculazione. Per scoraggiarla, le autorità dovrebbero intervenire". Chi e come? "I vari G8, G14, G20. Gli Stati sovrani. Per esempio: ogni volta che si acquista una materia prima, chi lo fa potrebbe essere costretto a lasciare presso la Banca centrale del Paese un deposito infruttifero pari al 20 per cento dell’importo. Per noi sarebbe una partita di giro; per lo speculatore un problema di non poco conto".
Le autorità sono restìe e le piazze finanziarie contrarie, è ovvio. Tagliare le unghie alla speculazione non è facile. Certo non come bere una tazzina di caffè.