Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 17 Giovedì calendario

La «bomba» di Gheddafi su Parigi: «Sarkozy eletto con i nostri soldi» - Il fronte continua ad arre­trare

La «bomba» di Gheddafi su Parigi: «Sarkozy eletto con i nostri soldi» - Il fronte continua ad arre­trare. Le forze del colonnello li­bico Mu­ammar Gheddafi han­no bombardato ieri la strategi­ca cittadina di Agedabia, 160 chilometri a ovest di Bengasi, mentre la comunità interna­zionale fatica a concretizzare l’imposizione di una no-fly zo­ne. I governi internazionali non trovano ancora un accordo su come arginare la crisi in Libia. La Francia insiste non soltan­to sulla necessità di una zona di non sorvolo, che impedireb­b­e al governo libico di bombar­dare le postazioni dei ribelli, ma anche sulla possibilità di at­tacchi mirati contro obiettivi sensibili del regime. Non è an­cora troppo tardi, ripete Alain Juppé: il ministro degli Esteri francese, per il quale soltanto l’uso della forza può fermare il Colonnello, fa inoltre sapere che alcuni Paesi arabi potreb­bero sostenere un’eventuale azione militare in Libia. «Agire­mo soltanto con un mandato del Consiglio di sicurezza e non solo con il sostegno, ma anche con la partecipazione at­tiva dei Paesi arabi», ha detto. Ieri, Parigi e Londra hanno la­vorato per persuadere i mem­bri del Consiglio di Sicurezza della necessità di una no-fly zo­ne. L’Italia, ha spiegato il mini­stro degli Esteri Franco Fratti­ni, sostiene l’imposizione di una zona di non sorvolo, ma si oppone «a ogni azione unilate­rale militare». Per ora, la comunità interna­zionale si limita alle parole. E sfruttando l’allungarsi dei tem­pi diplomatici, Tripoli non ha soltanto sferrato un attacco mi­litare contro i ribelli, ha fatto anche partire una controffensi­va mediatica. Seif El Islam, il fi­glio del colonnello Gheddafi, ha accusato ieri davanti alle te­lecamere il presidente france­se Nicolas Sarkozy di aver usa­to fondi libici per finanziare la sua campagna nel 2007. «Ci so­no le prove e le renderemo pubbliche», ha detto il 39enne in un’intervista a Euronews, chiedendo anche all’inquilino dell’Eliseo la restituzione im­mediata del denaro. Seif El Islam ha poi parlato della campagna militare. Ha detto che le forze governative sarebbero vicine a Bengasi e che un’eventuale risoluzione del Consiglio di Sicurezza su una no-fly zone sarebbe inuti­le, visto che «tra 48 ore sarà tut­to finito ». Tripoli ha già annun­ciato la propria vittoria al fron­te, che comprende anche Mi­surata, terza città del Paese in Tripolitania che i ribelli tengo­no ancora nonostante l’asse­dio. I rivoltosi raccontano una storia diversa: per loro anche ad Agedabia si combatte anco­ra e alla televisione di Tripoli «parlano troppi bugiardi». Lo stesso regime di Gheddafi ha dovuto ammettere che ieri la petroliera «Anouar Afrikia», appartenente a una società guidata dal figlio del raìs Han­nibal, è stata dirottata ieri sul porto di al-Hrika, presso To­bruk: «Così siamo di nuovo ri­forniti di carburante », ha detto un rappresentante del Consi­glio nazionale di Bengasi. All’Est però i sostenitori del colonnello e i simboli del regi­me, scomparsi per intere setti­mane, iniziano a tornare attivi e visibili. Agedabia, nodo stra­dale fondamentale della Cire­naica, è a 160 chilometri da Bengasi. Da Agedabia però, at­traverso il deserto, si arriva an­che al porto petrolifero di To­bruk e poi al confine con l’Egit­to. I militari al potere al Cairo da poche settimane hanno mantenuto aperta la frontiera, garantendo l’accesso di aiuti alimentari e medici. I ribelli contano moltissimo su questo passaggio vitale e il loro timo­re è che, invece di buttarsi in una difficile battaglia urbana a Bengasi, le forze del regime possano invece puntare a bloc­care il confine, soffocando len­tamente la rivolta.