Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 17 Giovedì calendario

SE LE SCIENZE SPIEGANO LA POLITICA - NEW YORK—

Harold ed Erica seguiti dalla nascita alla morte mentre crescono, studiano, si amano, si tradiscono, lavorano (lui saggista un po’ svagato e poi analista in un think tank, lei professionista molto determinata che arriva alla Casa Bianca come vicecapo dello staff del presidente), frequentano i luoghi canonici dell’establishment colto: dal forum di Davos ai meeting dell’Iniziativa filantropica di Bill Clinton, passando per il Council on Foreign Relations e le mobilitazioni di Medici senza frontiere. Poi si ritirano (ovviamente ad Aspen, mecca dello sci e della convegnistica), infine muoiono. «Personaggi col calore di due avatar» sono partiti all’attacco i critici di The Social Animal, il libro di David Brooks— metà racconto, metà indagine socioculturale— pubblicato un paio di settimane fa negli Stati Uniti da Random House. Brooks non è un romanziere né un vero scienziato sociale. Il columnist del «New York Times» è un saggista conservatore, un moderato con una vena satirica che venne fuori soprattutto in Bobos in Paradise, graffiante ritratto di dieci anni fa dei «borghesi bohémien» . Stavolta, però, Brooks indossa altri abiti. Reduce da tre anni di letture scientifiche e colloqui con neuroscienziati, sociologi, studiosi di economia comportamentale e psicologi dell’età evolutiva, tenta l’impervia e ambiziosa strada di un saggio che— usando la forma del racconto nel tentativo di alleggerire la lettura — usa i risultati delle più recenti indagini scientifiche per ricostruire i meccanismi che guidano i comportamenti umani e la ricerca del successo. Un viaggio dentro l’uomo, il suo bisogno di rapporti sociali, amicizia, amore. Le sue scelte guidate più dall’istinto e dalle emozioni che dalla razionalità cartesiana. E l’impatto di questi meccanismi sulla realtà politica. Sono bastati pochi giorni per fare di The Social Animal il libro più discusso del momento, tra apprezzamenti e molte critiche che Brooks ha sicuramente favorito fissando l’asticella molto in alto: «Filosofia e teologia— sostiene il saggista— oggi ci aiutano meno che in passato, si sono come atrofizzate. Il loro posto viene preso sempre più da scienziati e ricercatori che scavano nella natura dell’uomo. Per questo ha passato gli ultimi tre anni a discutere con gli scienziati. Che non sono dei tecnici, dei materialisti, ma uomini che cercano la verità» . Le accuse sono quelle immaginabili: un divulgatore acuto e ironico che si è preso troppo sul serio, che scimmiotta il Rousseau dell’Emilio, finendo per sfornare un’opera seriosa, pesante e priva di una reale autorevolezza scientifica. Ma il suo invito a esplorare nuovi orizzonti, le descrizioni dei modi in cui reti di neuroni inviano segnali che determinano il comportamento, attirano l’attenzione e l’apprezzamento di intellettuali liberali come Paul Berman, interessati a come le neuroscienze possono influenzare non solo il modo di valutare le scelte individuali ma anche l’agire politico. Proprio per questo discussioni e polemiche su Brooks sono destinate a incrociarsi col dibattito su un altro attesissimo saggio: The Origins of Political Order («Le origini dell’ordinamento politico» ) di Francis Fukuyama. Il nuovo libro dell’autore reso celebre vent’anni fa da La fine della storia, uscirà in America il 12 aprile, ma anche qui già si comincia a discutere sulla base di qualche anticipazione e dei resoconti di recenti discussioni accademiche che lo stesso Fukuyama ha avuto con i professori di alcuni atenei. Il filosofo americano di origine giapponese segue un percorso diverso: ripercorre i comportamenti sociali, l’evoluzione culturale e quella delle istituzioni politiche delle varie civiltà che si sono succedute nei secoli. Ma anche lui propone un percorso alternativo e innovativo. E anche Fukuyama ha arricchito negli ultimi anni le sue visioni filosofiche con incursioni nelle scienze naturali (come il saggio del 2002 Il nostro futuro postumano. Conseguenze della rivoluzione biotecnologica). Stavolta si concentra sugli aspetti culturali, non su quelli biologici, dell’evoluzione sociale. Secondo il «New York Times» e politologi come il danese George Sorensen, questo saggio, che parte dal cacciatore preistorico e dalle prime tribù unite da fattori religiosi, diventerà un nuovo classico nello studio dell’evoluzione politica delle società. Con la Cina che, con un sistema politico molto centralizzato, diventa uno Stato assai prima di un’Europa che rimane sostanzialmente tribale anche nell’era delle deboli monarchie, costrette a dividere il potere coi signori feudali. Solo Inghilterra e Danimarca riescono a darsi organizzazioni di governo forti, basate sullo Stato di diritto. Il saggio (si ferma alla Rivoluzione francese, ma sarà seguito da un secondo volume che arriverà fino ai giorni nostri) descrive come un «incidente della storia» il passaggio dello Stato di diritto, basato su fattori religiosi, a un sistema fondato su meccanismi democratici. Un incidente felice che si deve fare di tutto per conservare, ma in una convivenza forzata con altri sistemi come l’autocrazia imperiale cinese. I due saggi seguono traiettorie diverse, ma con vari incroci. Gli autori, oltre che l’interesse per le scienze naturali, condividono il fatto di essere dei conservatori moderati che, in seguito all’attentato alle Torri gemelle, appoggiarono l’interventismo di Bush. Salvo poi pentirsi, tutti e due, dopo il disastro dell’Iraq. Ora Fukuyama riflette sull’ «estrema difficoltà di creare istituzioni politiche per una società diversa dalla propria» . Mentre Brooks, un conservatore «hamiltoniano» , si professa liberale, ma si mostra anche convinto che, davanti a un’umanità che gioca su un piano inclinato, sia opportuno un intervento statale correttivo, capace di ripristinare la parità senza essere invasivo né assistenziale. Due saggi che susciteranno controversie, ma che aiutano a rileggere le vicende chiave degli ultimi anni — gli interventi in Iraq e Afghanistan, la guerra Usa contro il terrorismo e il crollo di un sistema finanziario che era stato costruito sulla teoria del comportamento razionale del soggetto economico— in una luce nuova.