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 2011  marzo 17 Giovedì calendario

“Sono triste”. Così parlò l’imperatore - La prima volta che la maggior parte dei giapponesi sentirono la voce del loro imperatore era il 1945: dalla radio, una voce stentorea, con frequenti interferenze statiche, comandò ai suoi sudditi di arrendersi, che la guerra era finita, e che il Paese avrebbe dovuto «sopportare l’insopportabile»

“Sono triste”. Così parlò l’imperatore - La prima volta che la maggior parte dei giapponesi sentirono la voce del loro imperatore era il 1945: dalla radio, una voce stentorea, con frequenti interferenze statiche, comandò ai suoi sudditi di arrendersi, che la guerra era finita, e che il Paese avrebbe dovuto «sopportare l’insopportabile». Le forze di occupazione americane avevano imposto che la trasmissione fosse diffusa anche all’estero, in modo che tutte le truppe giapponesi sparse per l’Asia sentissero il messaggio imperiale, e accettassero le condizioni della resa. Malgrado il generale MacArthur, comandante supremo delle forze alleate in Giappone, avesse deciso che la figura dell’imperatore fosse troppo importante per la stabilità sociale del Paese e che andasse dunque mantenuta, Hirohito, l’Imperatore Showa, in un comunicato successivo voluto da MacArthur dichiarò di non dover più essere considerato un dio incarnato, o un Arahitogami, ma un semplice mortale. Il generale americano decise di proteggere dall’accusa di crimini di guerra l’imperatore sotto cui il Giappone si era lanciato nella folle e sanguinaria conquista dell’intera Asia, per garantire la coesione del Giappone occupato, ma la divinità imperiale gli parve eccessiva. Così, dal 1946, il Giappone ha come Capo dello Stato un imperatore – un ruolo largamente cerimoniale, che non prevede una carica politica – ex-discendente dagli dei ma non di meno molto rispettato, e circondato da un alone di mistero mantenuto gelosamente. La vita privata all’interno del palazzo imperiale è considerata off limits da tutti, e del resto la famiglia imperiale, a parte la nota depressione della principessa Masako, non ha dato elementi per far parlare di sé. Fatta eccezione per alcuni momenti cerimoniali, dunque, rare sono le occasioni in cui i giapponesi possono vedere il loro imperatore. Due brevi discorsi preregistrati vengono trasmessi in televisione due volte l’anno: il 23 dicembre, giorno del compleanno dell’Imperatore Akihito (di 77 anni, succeduto a Hirohito alla sua morte, nel 1989) e festa nazionale, e per il nuovo anno. In entrambe le occasioni si tratta di rapidi messaggi di ringraziamento e auguri, un breve contatto video fra l’imperatore e il suo popolo che non presenta significati reconditi. L’apparizione in televisione dell’Imperatore Akihito ieri mattina, invece, usciva interamente dal protocollo solito, e sottolinea anzi la gravità di quanto viene vissuto in queste giornate dal Paese, dopo una serie di cataclismi e disastri epocali che si succedono uno dopo l’altro e sembrano non voler dare tregua al Giappone. Il messaggio, il primo fuori dalle date previste che il sovrano abbia mai fatto, è stato trasmesso in un quadro molto semplice, sobrio e decoroso: l’Imperatore vestito di grigio contro uno sfondo di finestre scorrevoli giapponesi, che parla pacatamente, nella voce un misto di apprensione e desiderio di comunicare conforto, e semplicemente assicura i suoi sudditi che si tratta di un dolore condiviso. «Il terremoto nel Tohoku è su una scala senza precedenti, di magnitudo 9.0. Sento un dolore profondo per le persone che soffrono di questo terribile disastro», ha detto Akihito, aggiungendo anche che «dal profondo del cuore spero che le persone riusciranno a prendersi per mano e superare questi tempi difficili», e che «ancora non conosciamo il numero delle vittime, ma prego che tutti possano essere salvati». Nulla di più, un messaggio durato meno di sei minuti. Da un lato, ha saputo trasmettere un senso di unità ancora maggiore. Dall’altro, anche questo messaggio imperiale ha sottolineato i paralleli che in questi giorni fanno riandare con la mente alla Seconda Guerra Mondiale. Una catastrofe plurima, che il primo ministro Naoto Kan ha definito come «la peggior crisi che attraversa il Paese dalla fine della guerra». Un disastro nucleare senza precedenti – così come era stata senza precedenti la decisione di utilizzare la bomba atomica contro una nazione. E un imperatore che, echeggiando le parole del padre, fa un breve inchino con il capo davanti alle sofferenze con cui deve vedersela il suo popolo. Ma se nella Seconda Guerra Mondiale le sofferenze dei giapponesi erano state la conseguenza di decisioni scellerate prese dalla leadership nazionale, oggi è un destino duro e testardo a mettere alla prova la nazione.