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 2011  marzo 17 Giovedì calendario

LA SCELTA (CALCOLATA) PER L’ENERGIA CHE SERVE

Il disastro nucleare giapponese sta alimentando nelle opinioni pubbliche occidentali due estremismi speculari: la condanna immediata e senza appello della produzione di energia elettrica dall’atomo e la fiducia illimitata nella scienza identificata nell’ingegneria nucleare e non, per dire, nel solare termodinamico. Entrambe le posizioni si nobilitano vantando il monopolio della razionalità e con ciò immaginando di condizionare la politica. Ma si tratta soltanto di retoriche giustapposte. Meglio sarebbe stare ai fatti e su questi ragionare, governando e rispettando le emozioni delle persone perché, come ognun sa, il cuore riesce talvolta a leggere dove il cervello tentenna.

Il primo dato di fatto è che, contrariamente alla propaganda di parte, il nucleare pesa sempre meno nella produzione energetica del pianeta. Secondo l’Agenzia internazionale dell’energia di Vienna, negli ultimi 12 anni il suo contributo è sceso dal 17,2 al 14%. La prima e crescente fonte energetica, il carbone, è salito dal 38,4%al 40,3%. La seconda fonte energetica, il gas, è balzato dal 15,8 al 20,8%. Il petrolio, invece, è in disuso, essendo calato dall’8,9 al 4,7%, anche se è ora prevedibile una certo recupero perché il Giappone in emergenza riaprirà parecchie vecchie centrali. Sempre rilevante, ancorché fisiologicamente in calo dal 18,3 al 16,6%, il peso dell’idroelettrico, mentre raddoppia dall’ 1,4 al 3,3% l’apporto delle altre fonti rinnovabili. Tutto questo significa che il mondo va avanti sempre di più con le fonti fossili. Può non piacere. A chi scrive, che al referendum del 1987 votò no all’uscita dal nucleare, non piace. Ma questa è la realtà. A regime l’Italia produrrà 10 miliardi di chilowattora con il fotovoltaico, sussidiato per 88 miliardi di euro in 20 anni o per circa 60 se si attualizzano i flussi, mentre l’Enel a Porto Tolle farà 14 miliardi di chilowattora con il carbone e senza incentivi. E intanto il Paese litiga ferocemente sul nulla, contrapponendo un nucleare di là da venire (le regioni sono contro; l’Enel non ha ancora rivelato i suoi piani) a fonti rinnovabili di modesta resa. Poiché l’effetto serra è un problema globale, si potrebbe confrontare di quanto nel mondo lo si possa ridurre usando meglio la fonte più impopolare, il carbone, e di quanto possa venir ridotto con l’eolico o il solare, frazioni della frazione delle «altre rinnovabili». Dal governo nazionale, invece, ci si attende che metta nero su bianco i costi e i benefici delle diverse opzioni anziché tenere i piedi nelle scarpe di tutte le lobby, dall’atomo al sole, e cambiare tre volte in otto mesi le norme, com’è avvenuto sul fotovoltaico, prima promettendo incentivi stellari a tutti, poi tagliando di colpo e infine rinviando le decisioni e seppellendo in un colpo solo la certezza del diritto e la politica industriale. Più in generale, governo e accademia dovrebbero forse chiarire la qualità dei nuovi posti di lavoro e il loro costo per la collettività in termini di incentivi. Magari tenendo presente che l’Iri assorbì fondi di dotazione per 37 mila miliardi di lire, ovvero 19 miliardi di euro, in 63 anni di storia nei quali diede lavoro a centinaia di migliaia di persone dirette e un’infinità indirette. Poi però chiediamoci anche perché il nucleare si sia fermato, dopo i primi successi legati anche alla gioia di poter fare un uso civile di una tecnologia militare terribile. Ora riprenderà? Esistono nuovi progetti, certo. Cina, India, Brasile. Ma quale sarà la loro incidenza tra 20-30 anni rispetto alle fonti fossili e alle rinnovabili? Il nucleare sarà parte della soluzione o parte [attenzione qui manca qualcosa, nota di GdA] del Paese per Paese, la percentuale di energia elettrica prodotta con impianti nucleari problema? Negli anni Novanta, a congelare i progetti nucleari è stata certo la paura di altre Chernobyl, ma anche e soprattutto la loro onerosità. Il nucleare ha un altissimo costo d’investimento, che varia anche da sito a sito, e un basso costo d’esercizio. Il prezzo del chilowattora nucleare dipende dai tassi a cui si finanzia l’investimento, e si confronta con quelli dell’energia da altre fonti. Oggi, con il barile oltre i 100 dollari e i tassi ancora bassi, il nucleare conviene. Ma per lunghi anni il barile ha quotato sotto i 30 dollari. Tornasse verso quei dintorni e risalissero i tassi, il nucleare diventerebbe una nuova tassa. Non è detto che un po’ di nucleare non debba essere fatto nonostante la paura, ma il governo, i cui esponenti affollano i talk show televisivi parlando senza sapere, deve prima mettere le carte in tavola. Se le ha. Non sarà tempo sprecato. Massimo Mucchetti