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 2011  marzo 13 Domenica calendario

Il 17 marzo la P2 compie trent’anni - Sono passati trent’anni. Tanto tempo è trascorso da quel 17 marzo del 1981 quando una perquisizione ordinata da due giudici istruttori milanesi, Giuliano Turone e Gherardo Colombo, nella residenza aretina di Licio Gelli, Villa Wanda, e nei suoi uffici di Castiglion Fibocchi, portò alla scoperta dell’elenco degli iscritti alla loggia P2

Il 17 marzo la P2 compie trent’anni - Sono passati trent’anni. Tanto tempo è trascorso da quel 17 marzo del 1981 quando una perquisizione ordinata da due giudici istruttori milanesi, Giuliano Turone e Gherardo Colombo, nella residenza aretina di Licio Gelli, Villa Wanda, e nei suoi uffici di Castiglion Fibocchi, portò alla scoperta dell’elenco degli iscritti alla loggia P2. La storia di questo paese non fu più la stessa, neppure quella passata che si poté rileggere con le nuove lenti fornite da quegli elenchi. Ebbene, trent’anni dopo - e in un momento di grande debolezza della Repubblica - Gelli è tornato a parlare, a fare oscure rivelazioni. E, chissà, potrebbe prepararsi a festeggiare da par suo l’ormai imminente trentennale il quale, peraltro, coincide esattamente con la data dei 150 anni dell’Unità d’Italia. In quel marzo del 1981, a Milano, Turone e Colombo stanno indagando sullo “strano” rapimento di Michele Sindona, banchiere legato a Cosa Nostra che aveva intrecciato la propria storia con con alcune tra le vicende più inquietanti di quegli anni e che morirà nel 1986 in carcere, avvelenato da una tazzina di caffè. I due magistrati si imbattono nel nome di Licio Gelli. Ordinano allora una perquisizione presso i domicili a lui riconducibili. Non si rivolgono alla locale polizia giudiziaria ma affidano l’operazione alla Guardia di finanza di Milano, agli ordini del colonnello Vincenzo Bianchi. L’operazione scatta all’alba. E cambia la storia italiana. Gelli non è ad Arezzo quella mattina ma si tiene in contatto telefonico con i suoi collaboratori mentre gli investigatori procedono, pur tra qualche ritardo e qualche intoppo. Il colonnello Bianchi ancora non lo sa, ma negli elenchi che di lì a poco scoprirà, troverà anche il nome del suo superiore, il comandate generale delle Fiamme gialle, Orazio Giannini. Ma non c’era soltanto lui: nelle carte rinvenute sulla scrivania, nella cassaforte e in una valigia a Castiglion Fibocchi c’è di tutto: carte che fanno riferimento a Roberto Calvi, documenti riservati dei servizi segreti, un appunto sul conto Protezione. C’è soprattutto un elenco di affiliati con tanto di data di iniziazione e numero di tessera, e un altro elenco con gli stessi nominativi del primo, corredato di indirizzi e numeri telefonici. In tutto si tratta di 978 nomi. Era uno Stato nello Stato, si disse quando la portata della scoperta fu chiara. Giornalisti, politici, imprenditori e i vertici dei servizi di sicurezza: si va da Mino Pecorelli a Roberto Calvi, da Michele Sindona a Umberto Ortolani, da Vito Miceli a Giuseppe Santovito e Giulio Grassini, da Gianadelio Maletti ad Antonio Labruna, fino a Fabrizio Cicchitto, Umberto Federico D’Amato, Edgardo Sogno, Bruno Tassan Din, Angelo Rizzoli e Francesco Cosentino. Si tratta di nomi che, tranne alcune eccezioni come l’ancora poco conosciuto Silvio Berlusconi, agli italiani di oggi dicono poco, ma gli italiani di allora scoprirono che uomini della P2 erano ovunque, saldamente piantati nei gangli del potere. È un terremoto che si abbatte su un paese che si stava preparando a un periodo di spensieratezza nei quali crescerà un sistema di potere che, dieci anni più tardi, crollerà improvvisamente, stretto tra le inchieste su Mani Pulite e le bombe mafiose del biennio ’92-’93. Finirà allora la Prima Repubblica, inizierà una presunta Seconda Repubblica. E sarà l’epoca dell’uomo nuovo: Silvio Berlusconi. Ma in quel 1981 l’Italia stava ancora attraversando il decennio più buio della sua storia recente iniziato nel 1969 con la strage di piazza Fontana. Erano gli anni della strategia della tensione, delle mille trame nere, del tradimento dello Stato e delle Brigate rosse. Il 2 agosto del 1980 una bomba fascista uccise 85 persone alla stazione di Bologna. Di quella giornata restano indelebili le immagini della devastazione, dei corpi. E di quell’autobus, il numero 37, usato come un gigantesco carro funebre. Questa era l’Italia del 1981. E anche questo spiega perché quegli elenchi non verranno resi noti subito. Turone e Colombo informarono i vertici dello Stato, furono ricevuti a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio, Arnaldo Forlani, al quale venne consegnata copia dell’elenco. Ma soltanto due mesi dopo - e siamo ormai al 21 maggio - Forlani consegnò al paese la lista di nomi. Non poteva più evitarlo, la commissione parlamentare che indagava su Sindona aveva ormai deciso di fare altrettanto. Pochi giorni dopo, Forlani deve rassegnare le dimissioni. Anche nel suo governo sedevano alcuni piduisti. E non era ancora finita. Nel luglio del 1981, infatti, in una residenza ricollegabile a Gelli in Uruguay viene rinvenuto materiale che in parte riscontra e in parte completa quello trovato a Castiglion Fibocchi. Nel frattempo, si era costituita la commissione oarlamentare sulla P2 affidata a Tina Anselmi. L’enorme lavoro della commissione si rivelerà decisivo per la comprensione sulla P2. Ed è proprio in commissione che si pone per la prima volta il problema di eventuali nominativi mancanti. Va detto, infatti, che alcuni dei presenti negli elenchi della loggia si erano detti del tutto estranei alla P2. E però la commissione presieduta da Tina Anselmi ritenne quegli elenchi attendibili, seppure, in base a testimonianze raccolte e documentazione acquisita, incompleti. Basti dire che i numeri progressivi delle tessere corrispondenti ai 978 nominativi presenti negli elenchi di Castiglion Fibocchi partono dal 1.600. A quali nomi corrispondono i 1.600 numeri di tessera mancanti è un mistero che tuttora permane. Trent’ anni dopo Licio Gelli è tornato a parlare. Lo ha fatto con una serie di interviste rilasciate tra gennaio e febbraio al Piave, al Tempo e a Oggi, circostanza inusuale per una persona proverbialmente riservata come lui. E, naturalmente, ha parlato a modo suo, annunciando sorprese quando, con l’ultima intervista della serie, ha rinviato le spiegazioni su certe sue fresche rivelazioni circa un servizio segreto parallelo denominato Noto Servizio o Anello, alla «prossima volta», per affermare invece, nel frattempo, una netta presa di distanza da Silvio Berlusconi e liquidare come un «sodalizio di affaristi» i presunti appartenenti alla cosiddetta P3. Ma cosa c’entra l’Anello? Di questa struttura parallela, e talmente riservata che tutt’ora non se ne conosce neppure il nome vero, questo giornale ha già scritto molte pagine e a quelle si rimanda. Basti dire che fu una organizzazione nata a metà degli anni 40 e che fu utilizzata per operazioni politiche da portare a termine anche con mezzi illeciti che, per questo, non potevano essere affidate ai servizi di sicurezza ufficiali né a strutture che avevano altri obiettivi, come Gladio. Ebbene, il richiamo di Gelli all’Anello arriva dopo una notevole intervista concessa all’Espresso dal prefetto Bruno Rozera, pezzo da novanta della massoneria e coetaneo del Venerabile. Lì Rozera allude a un livello superiore allo stesso Gelli nella P2. Peraltro, l’intera intervista appare intessuta di riferimenti non sempre facili da sciogliere e contiene un forte rimando alla stagione immediatamente precedente al biennio ’92-’93, oltre a una oscura allusione a un colpo di Stato che è un capolavoro di non detto. Ecco, dunque, che, se le parole di Rozera sembrano potersi leggere su più livelli, lo stesso si può immaginare per le successive interviste di Gelli, le quali nelle parole di Rozera sembrano trovare almeno in parte l’origine. Cosa abbia voluto dire Gelli parlando dell’Anello, e collegandolo a Giulio Andreotti, soltanto lo stesso Gelli potrebbe spiegarlo. Così come soltanto lui potrebbe spiegare il perché di questa sua improvvisa loquacità, che ha sfiorato anche l’argomento del reale numero degli iscritti alla sua loggia, nell’imminenza del trentennale di Castiglion Fibocchi. Di certo, è inquietante il massiccio rimando all’esistenza di strutture occulte che in queste settimane le cronache sono costrette a raccogliere, in una fase così delicata per la vita democratica. Curioso, dunque, l’apparente svarione di Gelli nella intervista al Tempo, quando a proposito di Berlusconi dice: «L’ho avuto per sette anni nella Loggia». Se è vero che l’iscrizione di Berlusconi alla P2 risale al 1978 e che la loggia fu sciolta nel 1981, c’è qualcosa che non torna. Possibile che il Venerabile ricordi male?