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 2011  marzo 17 Giovedì calendario

CAVOUR, CAMILLO, IL GIOCATORE D´AZZARDO CHE TRIONFÒ NELLA PARTITA DECISIVA

Dei quattro personaggi che hanno fatto l´Italia, Cavour è quello essenziale. Senza di lui l´Italia non si sarebbe fatta (o per lo meno non si sarebbe fatta in quegli anni, e a quel modo). Ma è anche stato, dei quattro, il meno sentimentale. Nei salotti, se qualcuno si lanciava in poetiche perorazioni patriottiche, gli diceva bonariamente di calmarsi. Dell´unificazione Camillo Benso non fu il vate. Non fu neanche l´autore del canovaccio. Lui fu il regista. Ma un regista di straordinaria abilità: basti il giudizio di Metternich, che lo definì l´unico grande diplomatico del suo tempo.
Aveva quel che si dice un brutto carattere. Sapeva incantare l´interlocutore (o l´interlocutrice: fu un gran seduttore). Ma era anche presuntuoso, collerico. Il padre, uomo di forte personalità, lasciò di lui, in una lettera scritta in un momento difficile, una descrizione per noi preziosa. Camillo, gran giocatore d´azzardo, aveva perso in una speculazione sbagliata, durante un soggiorno a Parigi, una somma enorme: doveva saldare il debito o, come lui disse, "farsi saltare le cervella." Il padre pagò. E colse l´occasione per dirgli quel che pensava di lui. «Adesso che il male è stato fatto – gli scrisse – rivediamolo insieme, per trovare un rimedio per il futuro… Tu sei malato di orgoglio. Tu credi di essere l´unico giovanotto in grado di diventare da un momento all´altro un ministro – un banchiere – un uomo d´affari – uno speculatore – e questa grandiosa opinione di te stesso non ti ha mai permesso di pensare che forse commettevi qualche errore».
Narcisismo? Camillo aveva allora trent´anni. La carriera politica era sempre stata il suo sogno. Ma il Piemonte di Carlo Alberto, dominato dai gesuiti, offriva scarse occasioni. Che cosa poteva fare, dunque? Il suo destino di fratello cadetto pareva la carriera militare. La intraprese: e fu un fallimento. Si congedò a poco più di vent´anni, col pretesto della miopia. Il padre, per impegnarlo, gli affidò allora l´amministrazione delle tenute di famiglia. E lui sembrò rassegnato a fare per tutta la vita, come disse con amara ironia, "l´ingrassa-maiali". Intanto leggeva e leggeva, di storia e di politica; studiava i classici, da Gibbon a Montesquieu, fu tra i primi a capire l´importanza di Tocqueville. E poi viaggiava, in Francia e in Inghilterra (mai a sud di Genova), affascinato da un´Europa che stava aprendosi all´industria e alla modernità. Si preparava insomma per una carriera che forse non avrebbe mai fatto. Lo affascinò un viaggio in treno, il secondo della sua vita, da Parigi a St. Germain-des-Prés, "a una velocità folle": ventotto chilometri l´ora.
Finalmente, nel fatale 1848, si aprì uno spiraglio. Finanziò e diresse un giornale, fu eletto (non al primo tentativo) in parlamento. E fece carriera: era il più intelligente e il più aggiornato. Diventò ministro dell´Agricoltura, delle Finanze e, nel 1852, Primo ministro. La partecipazione alla guerra di Crimea fu la prima grande impresa della sua vita. Ma l´obiettivo dominante di Cavour non fu l´unificazione dell´Italia: fu il progresso economico, sociale e politico del Piemonte. La Francia, e soprattutto l´Inghilterra, erano il suo ideale. Furono altri a spingere verso l´unificazione della penisola. Lui gestì l´operazione.
L´appuntamento fatale fu a Plombières. Napoleone III, imperatore di Francia, nell´estate del 1858 trascorreva le vacanze in quell´elegante luogo termale nei Vosgi, e invitò Cavour a un incontro che doveva essere segreto. Cavour arrivò la sera del 20 luglio: gli alberghi erano tutti occupati, prese alloggio in una pensione. La mattina seguente, Napoleone lo fece salire su una carrozza per una gita nel bosco, e prendendo di tanto in tanto lui stesso le briglie gli espose (quattro ore nella mattinata, altre quattro nel pomeriggio) un mirabolante progetto: guerra della Francia e del Piemonte contro l´Austria, annessione della Lombardia e del Veneto, creazione di un Regno del Norditalia. Ma perché il progetto funzionasse era essenziale che fosse l´Austria a dichiarare la guerra: premessa quasi inimmaginabile. Cavour riuscì a compiere l´impresa.
Sembrò a un certo momento che tutto andasse in fumo: le Grandi Potenze premevano per una conferenza sulla questione italiana alla quale il Piemonte sarebbe stato ammesso solo dopo un disarmo umiliante; gli entusiasmi di Napoleone erano sbolliti. Cavour, disperato, sempre catastrofico, pensava all´esilio in America, forse al suicidio. Ed ecco, all´ultimo momento, due ufficiali in bianca uniforme attraversarono le vie di Torino: portavano l´ultimatum di Vienna al Regno di Sardegna, disarmo immediato o la guerra. L´ultimatum fu respinto, l´Austria attaccò: era caduta nel tranello. «Questi sono terni al lotto che capitano una volta in un secolo», disse Massimo D´Azeglio. Ma il terno al lotto fu in realtà il capolavoro di Cavour, che aveva provocato l´Austria al punto giusto.
Il seguito non fu, per lo statista piemontese, altrettanto glorioso. Ebbe litigi continui con Vittorio Emanuele, scontri con Garibaldi. L´impresa dei Mille gli impose un gioco di equilibrio non sempre dignitoso. Preferiamo ricordarlo in altri momenti della sua vita, per lo più trascurati dagli storici: come quando, giovanotto innamorato, andava da Torino verso Sàntena a piedi, in una magica notte di luna, sognando di stringere fra le braccia la sua Nina.